OSSERVAZIONI SULL’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE a cura del dott. Claudio Cattani
(“
Scire leges non est earum verba tenere sed vim ac potestatem “)
(Conoscere
le leggi non è conoscerne le parole,ma comprenderne
lo
spirito e la forza)
L’operatore
del diritto naviga nel “mare magnum” delle leggi: parte
dall’enunciato legislativo (che è l’oggetto
dell’interpretazione) ed arriva alla norma che è il
risultato dell’interpretazione); egli nuota tra marosi che lo
spingono tra:
-il
diritto: ossia
il complesso di principii e regole codificati al fine di lo scopo
di fornire agli appartenenti di una comunità criteri di
comportamento su cui si fonda una ordinata convivenza;
-la
legge: ossia il testo votato, approvato e promulgato dagli
organi istituzionali deputati a deliberare atti suscettivi di
comportamenti vincolanti per tutti i cittadini;
-la
giustizia:
ossia la traduzione , in ambito sociale, della
volontà di riconoscere e rispettare i diritti e le aspettative
altrui mediante l’attribuzione a ciascuno di quanto gli spetta
secondo ragione e in base alla norma
E
l’interpretazione incarna lo sforzo titanico ,in cui si misura
il suo autore:essa invera il drammatico conflitto tra legge e
giustizia.
Da
tempo immemorabile viene avvertita questa stridente contraddizione
tra la legge : ” “lex est aranea tela,quia, si in eam inciderit
quid debile, retinetur; grave autem permansit tela rescissa” (“La
legge è come una ragnatela: poichè se vi cade qualcosa di leggero
lo trattiene; ciò che è pesante, invece, la rompe e passa oltre”e
la giustizia: ”iustitia est constans et perpetua voluta iussuum
cuique tribuendi” (“La giustizia è la costante e permanente
volontà di dare a ciascuno il suo diritto”).
Compito
del “causidico”, ossia di chi studia le cause giudiziarie fatte
dal difensore e dal giudice, è quello di analizzare ( non già
indicare ) il canone d’interpretazione della legge oggetto della
causa in parola .
Il
giudice dice il diritto ( “iusdicere”), il causidico legge il
diritto( intende e comprende il significato del verdetto giudiziale).
Intendere
e comprendere il diritto non è cosa facile ,dovendosi optare per
una scelta condizionata da diverse letture del significato della
legge in rilievo.
Costì
viene enucleato il canone interpretazionale (cd.”obiettivo
teleologico”)seguito dallo Scrivente.
Va
fatta salva la seguente precisazione: l’Art.12 Disp. Prelim . al
Codice Civile contiene un’insolubile contraddizione , prescrivendo
all’interprete di ricercare il valore obiettivo delle parole, e,
contemporaneamente , il contenuto dell’intenzione ( necessariamente
soggettiva ) .
Ciò
conduce ad un’astratta liceità di far uso di svariati canoni
ermeneutici , ma non vi è dubbio che , nell’applicazione
giudiziaria del diritto: la “ actio duplex” , di cui al “
sillogismo giudiziario “ , quella in cui il “fatto “ da
qualificare occupa la parte della premessa minore, e la “ regola
giuridica “, quella della premessa maggiore, o, quello della
sussunzione della fattispecie concreta alla fattispecie esterna , non
sono procedimenti mentali del tutto slegati l’uno dall’altro, ma
processi che si intersecano o, quantomeno, si condizionano l’uno
con l’altro.
Va
messo conto che l’interpretazione giudiziale della norma, quale
appuntasi al solo caso vagliando , deve, comunque, essere compiuta in
modo da valere per tutti i casi di quel tipo: altrimenti viene leso
il principio che impone di trattare in modo eguale casi eguali e ,
senza meno , quello in punto certezza del diritto (C.PEN., SEZ.III ,
23-02-1994, in Giust.Pen.,1995,II,159 ) .
Per
sviluppare il tema dell’interpretazione occorre definirne l’ambito,
ovverochè:
A)
la disciplina dell’interpretazione è valevole in tutti i settori
dell’ordinamento giuridico (C.C.67/2931) ;
B)
l’interpretazione di clausole di accordi sindacali che siano
assunte a contenuto di norme regolamentari di un ente pubblico deve
obbedire ai precetti dell’art.12 citato (CdS, VI,80/12 ) ;
C)
l’interpretazione delle disposizioni contenute nei D.P.R. con cui
sono recepite ed emanate, ai sensi dell’art.6 L.93/83 (l. quadro
sul pubblico impiego), le norme risultanti dalla disciplina posta
dagli accordi sindacali previsti dalla legge stessa, è denunciabile
in sede di legittimità ex art.360 , n.5 C.P.C.(CC.93/6152) ;
D)
in tema di trattamento normativo ed economico del personale
sanitario a rapporto convenzionale , i D.P.R. che recepiscono gli
accordi collettivi ex art.48 L.883/78, hanno natura regolamentare
onde il giudice di legittimità può conoscere , ex art.360 n.5
C.P.C. , gli allegati vizi di violazione e falsa applicazione di
norme di diritto e può procedere direttamente all’interpretazione
dei medesimi (C.C,2006/19511) ;
E)
le antiche leggi non possono giovarsi della disciplina di nuovi
istituti essendo fondate su concezioni inserentesi in un contesto
storico diverso (CC.72/98 ) ;
F)
con riguardo a sentenze della Corte Costituzionale dichiarative
d’illegittimità di una norma , la necessità di riferirsi non solo
al dispositivo ma anche alla motivazione , sussiste tutte le volte
che solo quest’ultima permetta di delimitare , con precisione, ai
fini di individuare l’oggetto della pronuncia , quali disposizioni
debbano considerarsi caducate (CC.89/1850) ;
G)
l’interpretazione dei principi di diritto fissati nella sentenza di
cassazione con rinvio , specie ove non siano stati espressamente
enunciati, ma debbano essere enucleati dall’intero corpo della
decisione, non può avvenire mediante estensione dei criteri
ermeneutici ex art.12 citato, visto che i presupposti per
l’applicazione di detti criteri vanno individuati nella astrattezza
e generalità del comando normativo e nel riferimento a tutte le
fonti del diritto , di cui all’art.1 disp. prelim. al Codice Civile
, ma deve aver luogo attraverso i criteri interpretativi ex art.1362
c.c. .
Ciò,
in verità, è richiesto dalle stretta circolarità tra fatto e
principio di diritto destinato a regolarlo, dalla limitazione
dell’efficacia del suddetto principio alla singola controversia e
dalla ridotta rilevanza del canone letterale di interpretazione nei
frequenti casi in cui sia necessario procedere ad una interpretazione
logico-sistematica della decisione, riferita all’intera
motivazione .
Ne
consegue che il ricorrente , il quale lamenti in sede di legittimità
una errata interpretazione della S.C. , da parte del giudice del
rinvio, ha l’onere di specificare i canoni ermeneutici violati in
riferimento alle parti della motivazione censurate, nonchè di
indicare le forme in cui si è manifestata la violazione denunziata,
altrimenti risolvendosi, la censura, nella mera contrapposizione di
una interpretazione diversa da quella propria del giudice del rinvio
(CC.2005/3352 , conf. CC.2004/07 , contra CC . 2004/17564 ) ;
H)
le circolari ministeriali sono atti interni della P.A. destinate a
regolare l’attività degli organi inferiori, ma non hanno alcuna
efficacia giuridica nei confronti dei soggetti estranei, neppure ai
fini dell’interpretazione delle norme (CC .73/54) ;
I)
la prassi seguita dalla P.A. nell’interpretazione di propri
regolamenti non ne costituisce valido canone ermeneutico (CC
.75/4231 ) ;
L)
i codici deontologici predisposti da ordini o collegi professionali,
se non recepiti direttamente dal legislatore, non hanno nè la natura
nè le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili ai
criteri ex art.12 citato, essendo espressione di poteri di
autorganizzazione di ordini e collegi, perciò la loro
interpretazione segue il prefato art.1362 c.c. , per cui è
sindacabile ex art.360 n.3 C.P.C., la violazione o falsa
applicazione dei suddetti canoni ed ex art.360 n.5 ed il vizio di
motivazione , che , però , non pertiene il caso in cui vogliasi far
prevalere, sulla logica e coerente interpretazione seguita nel
giudizio di merito , una diversa opzione ermeneutica patrocinata
dalla parte ricorrente (CC . SU , 2003/10842 ) .
Riguardo
al diritto comunitario esso, indipendentemente dalle norme , emanate
dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli
obblighi , attribuisce loro dei diritti soggettivi ,
tali non solo perchè il Trattato espressamente li menziona ma, anche
, quale contropartita di precisi obblighi che il Trattato impone agli
Stati Membri (CGCE -05/02/1963, causa 26/92) ;
lo
spirito e i termini del Trattato hanno, per corollario,
l’impossibilità per gli Stati membri di far prevalere contro un
ordinamento giuridico, se accettato a condizioni di reciprocità, un
provvedimento unilaterale ulteriore il quale , peraltro, non è
opponibile all’ordinamento stesso (CGCE 15/07/1964, causa 6/64 ) .
Ordinamento
comunitario e Ordinamento statuale sono sistemi giuridici distinti ed
autonomi , ancorchè coordinati tra loro secondo le ripartizioni
stabilite e garantite dal Trattato . Tale rapporto e la sottostante
limitazione della sovranità statale fanno sì che l’ordinamento
italiano consenta che i regolamenti comunitari spieghino effetti in
quanto tali e perchè tali nel territorio nazionale , ossia che venga
riconosciuta a tali atti l’efficacia di cui sono provvisti
nell’ordinamento di origine (C.COST.84/170).
Dicesi,
primamente,che , cominciando dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia, è ormai consolidata la tesi della preminenza delle norme
sovranazionali nei loro rapporti con le norme degli Stati membri.
Le
considerazioni svolte a questo proposito dalla Corte possono essere
trasposte, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ai
rapporti tra norme dell’Unione europea e norme degli Stati membri.
Nella
dichiarazione n. 17 allegata all’atto finale della Conferenza di
Lisbona si “ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di
giustizia dell’Unione europea, i Trattati e il diritto adottato
dall’Unione sulla base dei Trattati prevalgono sul diritto degli
Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata
giurisprudenza”.
Come
precisato da un parere del Servizio giuridico del Consiglio, sebbene
il principio della preminenza non trovi enunciazione nei Trattati (a
differenza di quanto veniva stabilito nella Costituzione elaborata
nel 2004), tale circostanza “non altera in alcun modo l’esistenza
del principio stesso e la Giurisprudenza esistente della Corte di
giustizia” [ Gaja g., Adinolfi a., Introduzione al diritto
dell’Unione europea, Laterza, Bari, 2010, p. 183.
Nei
casi in cui le autorità comunitarie abbiamo , mediante direttiva,
obbligato gli stati membri ad adottare un determinato comportamento,
la portata dell’atto sarebbe ristretta se i singoli non potessero
far valere in giudizio la loro efficacia e se i giudici nazionali non
potessero prenderlo in considerazione come norma di diritto
comunitario.
E’
quindi opportuno esaminare , caso per caso , se la natura , lo
spirito e la lettera della disposizione di cui trattasi permettano di
riconoscerle efficacia immediata nei rapporti tra Stati membri e
singoli (CGCE 04/12/1974 , causa 41/74), essendo detta direttiva
priva di efficacia nei rapporti tra privati (cd. effetti orizzontali
) , qualora manchi lo strumento di attuazione dello Stato, potendo in
tal caso essere invocata nei confronti dello Stato stesso ( efficacia
cd. verticale ), così come precisato dalla Corte di Giustizia CE
(95/2275, conf CGCE 26/2/1986, causa 152/84) .
Nei
rapporti tra diritto comunitario e diritto interno la Corte
Costituzionale giudica sia della legge di esecuzione del Trattato (
in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento e ai
diritti inalienabili dell’uomo ), sia delle leggi nazionali ( che
si assumano così illegittime in quanto dirette ad impedire
l’osservanza dei principii fondamentali del Trattato( C . COST .
84/17,conf. C.COST. 73/183, 88/11146, CC.2000/190 = ove si precisa
che il giudice nazionale nell’interpretare una norma di diritto
interno deve privilegiare, tra le diverse interpretazioni possibili,
quella conforme alla normativa comunitaria , per evitare che lo Stato
italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi comunitari=).
Nel
caso in cui la questione di costituzionalità di una disposizione di
legge sia fondata su un problema di interpretazione di una norma
comunitaria , è necessario che il contenuto della norma in parola
sia definito secondo le regole dettate dall’ordinamento comunitario
attraverso il necessario previo invio da parte del giudice rimettente
alla Corte di giustizia CE (C.COST.96/319 , conf. , 2002/85 , 98/109
, 98/108 ) .
Vanno
restituite al giudice remittente gli atti relativi alla questione
sollevata in quanto viene allegata a presupposto della censura di
costituzionalità una norma sulla cui effettiva portata mancano
precedenti puntuali , perchè esso giudice adisca la Corte di
giustizia della Comunità europea- alla quale sola è demandata
l’interpretazione con forza vincolante per tutti gli Stati membri
di quella normativa - affinchè individui in modo compiuto e
definitivo, e con carattere di certezza ed affidabilità, il
contenuto delle norme espresse dalle disposizioni comunitarie .
Alla
Corte Costituzionale infatti - ferma la possibilità del controllo
per violazione di principii fondamentali e dei diritti inviolabili
della persona- non compete fornire interpretazione della normativa
comunitaria che non risulti di per sè di “ chiara evidenza”,
nè di adire il giudice comunitario, non potendosi assimilare alla “
giurisdizione nazionale”, cui si riferisce l’art.177 del Trattato
istitutivo della CEE, il giudice delle leggi che, in funzione di
suprema garanzia della Repubblica , non è incluso tra gli organi
giudiziari, ordinari o speciali che siano ( C.COST.,95/536 );
il
principio affermato dalla Corte Costituzionale (C.COST.84/170),
secondo cui l’eventuale conflitto tra norme comunitarie e norme
nazionali , sia anteriori che successive , deve essere risolto dal
giudice nazionale non promuovendo giudizio di legittimità
costituzionale, ma disapplicando quest’ultime, tutte le volte che
la normativa comunitaria soddisfi il requisito dell’immediata
applicabilità, vale, non solo per la disciplina prodotta dagli
organi comunitari mediante regolamenti, ma, anche, per le statuizioni
risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia delle
Comunità europee (C.COST . 85/113).
Ciò
si appunta , altresì, per ogni altra sentenza del giudice
comunitario, la quale , nell’applicare od interpretare una norma
comunitaria, dotata di effetti diretti, risulti comunque dichiarativa
del diritto comunitario (C.COST., 89/389, 91/168 , ove di parla di “
disapplicazione “ e di “ non applicazione” della norma interna
contrastante con una normativa comunitaria “self executing “ ,ed
inoltre C.COST., 95/249 , ove si distingue tra “ abrogazione “ e
“ non applicazione “ (CC .99/189/, CC.85/113 ) .
Va
esplicitato come – mancando una scala gerarchica interpretativi
tra i metodi precedentemente additati= fatto chiaro che il primato
dell’interpretazione letterale (C.COST.,91/9279), è inteso
adottando nel solo caso in sia incontrastato e incontrastabile il
decisorio “ de quo” (CC. SU , 1982/4400, CC.88/6907 , con
riferimento alla L . n . 604/66 , sui licenziamenti individuali , da
parte della l. 1204/71 , sulla tutela delle lavoratrici madri e della
C.C. 93/11359 ), che rinserra quest’opzione interpretativa , nel
solo ambito in cui la chiarezza della norma sia evincibile “ prima
facie”= si realizzi , sovente , una sorta di eclettismo
metodologico , con pluralità di combinazioni interpretative e con
assegnazione della preferenza del significato tecnico su quello
linguistico generale .
Va
sottolineato come , solo i casi di indicazione di entità individuali
, ovvero di numeri , ossia i casi in cui emerge , dal senso letterale
, un risultato preciso ed univoco, dispensino il Giudicante
dall’operazione interpretativa, proprio perchè le norme , anche
quando assumono un preciso significato, non necessariamente assumono
la stessa valenza attraverso l’applicazione di esso in sentenza .
Secondo
il canone “obiettivo-teleologico” la determinazione del contenuto
della norma si connette , in definitiva , al fine che si può
ritenere , il legislatore , impersonalmente , e , non ,
storicamente inteso , voglia perseguire con essa . Più ampiamente ,
si deve , pur , guardare al complesso dei fini perseguiti
dall’insieme delle leggi ( C . COST. , 1984/26 , CC . 1996/3495 ,
Corte dei Conti Sez . Contr . , 1996/145 ) .
In
tale operazione si deve tener presente che la rappresentazione del
fine della singola legge o dei fini dell’insieme delle leggi , può
, appunto , in concreto , non essere stato presente alla mente del
legislatore , storicamente inteso : bisogna , quindi , fare
riferimento agli scopi che , ragionevolmente , alla stregua dei
valori espressi dalla legge e dall’ordinamento nel suo insieme in
quel determinato momento storico ( ossia quello in cui viene condotta
l’operazione interpretativa ) , si debbano intendere perseguibili e
perseguiti.
Il criterio del
riferimento allo scopo perseguito dal legislatore viene dunque a
coincidere con i criteri più propriamente oggi definiti come
obiettivo-teleologici , per tali intendendosi , appunto, il
riferimento al senso immanente a determinati settori o istituti
dell’ordinamento giuridico o all’ordinamento giuridico in
generale , venendo in rilievo i principii fondamentali
dell’ordinamento ed in particolare quelli di rango costituzionale ,
in principi etico-giuridici in genere (C. COST., 98/140 , T. A. R.
PUGLIA SEZ. LECCE , 1992/461 ) , ricordando il valore che si
traduce nell’obbligo di valutare in modo uguale le situazione
equivalenti , e , quello per cui , se tra più significati possibili
uno solo è conforme ai principii costituzionali, a questo va data la
preferenza (CdS , VI , 1992849, Corte dei Conti Sez . Contr.,
1995/60 , T.A.R. SARDEGNA 1994/1755 ) .
La
riprova del pregio di siffatta interpretazione , in chiave di
giurisprudenza comunitaria , traggasi dalla sentenza Corte Giustizia
9 gennaio 2003, causa C-257/00 , Nani Givane e al. In merito al
problema se , nella controversia in tema di permesso di soggiorno, la
Signora Givane e i suoi tre figli potessero invocare il regolamento
n.1251/70 a fondamento della loro richiesta di un permesso di
soggiorno; tale regolamento definisce le condizioni alle quali un
lavoratore e i membri della sua famiglia possono rimanere a
condizione:
a)
che il lavoratore , al momento del decesso, abbia risieduto
ininterrottamente nel territorio di tale Stato membro da almeno due
anni;
b)
oppure che il decesso sia dovuto ad infortunio sul lavoro o a
malattia professionale ;
c)
oppure che il coniuge superstite sia cittadino dello Stato di
residenza o abbia perduto la cittadinanza di tale Stato in seguito al
matrimonio col detto lavoratore” .
L’equivoco
nasceva dal significato letterale attribuito da ciascuna lingua alla
locuzione “ da almeno due anni”.
Nella
versione francese “ depuisaumoins 2 années “ , in quella tedesca
“ seitmindestens 2 Jahren “, in
quella italiana:” da almeno due anni”; vale a dire nella
maggioranza delle versioni linguistiche esistenti alla data
dell’emanazione del regolamento stesso , implica che il periodo di
residenza ininterrotta di due anni debba proseguire sino alla data
del decesso del lavoratore.
Il
tenore di altre versioni linguistiche di tale disposizione è più
vago: in quella spagnola “ un minimos de dos anos “, in quella
danese :” i mindst 2 aar “,in quella greca “ epì duo
toulaxiston ete “, in quella inglese:” for at least two years”,
in quella olandese :” gedurende ten minste 2 jaren”, in quella
portoghese :“ pelo menos 2 anos” , in quella finlandese:”
vahintaan kaksi vuotta “, in quella svedese:” under minst tva ar
“ :
In
ciascuna lingua di questo questo secondo gruppo la definizione in
questione appare piuttosto neutra quanto al nesso cronologico tra la
residenza ininterrotta di due anni e la data del decesso del
lavoratore.
Perciò
la Corte europea con sentenza 2 aprile 1998, causa C-296/95 , EMU
Tabac e a. Racc. , p.I-1605, ha affermato che a tutte le versioni
linguistiche , in via di principio , va riconosciuto lo stesso valore
, che non può variare in rapporto al numero dei cittadini degli
Stati membri in cui è parlata una certa lingua .
Per
tale motivo (sentt. 27 ottobre 1977, causa 30/77, Boucherau , Racc.
p.1999, punto 14-; 7 dicembre 1995,causa C-449/93,Rochfon,
Racc.p.I-4291, punto 28; 17 dicembre 1998, causa C-236/97, Codan ,
Racc. p.I-8679, punto 28 , e 13 aprile 2000, causa C-420/98, W.N. ,
Racc. p.I-2847, punto 21) , è stato affermato che le varie versioni
linguistiche di una disposizione comunitaria vanno interpretate in
modo uniforme, e, pertanto, in caso di divergenza tra le versioni
stesse , la disposizione in parola dev’essere interpretata in
funzione dell’economia generale e delle finalità della normativa
di cui essa fa parte , per cui la locuzione “ da almeno due anni”
, deve essere ricollocata nel suo contesto ed interpretata in
funzione della “ ratio” e delle finalità della disposizione di
cui trattasi, comparandola con l’art.3 del regolamento n.1251/70 in
assonanza con il successivo art.4,n.1 .
Perciò
l’interpretazione corretta è che il periodo di due anni:
§
deve essere immediatamente precedente il decesso del lavoratore, in
base all’economia generale dell’art.3 perché diversamente se
tale periodo potesse cessare in un qualsiasi momento del lasso di
tempo trascorso dal lavoratore nello Stato membro ospitante, sarebbe
superfluo operare una siffatta connessione con il detto momento;
§§
deve essere ininterrotto;
§§§
è compatibile con gli obiettivi dell’art.48 del Trattato CE.
Il
criterio dello scopo della norma è stato, altresì , applicato :
nella
sentenza North Kerry Milk del 1977 (Causa 80/76, sentenza del 3 marzo
1977,North Nerry Milk Products LTD contro Ministero per l’agricoltura
e la pesca ( domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High
Court of Justice Irlandese): ivi si dibatteva sull’interpretazione
dell’art.6 del Regolamento n.1134 del 30 luglio 1969, che fissava
le norme di applicazione del precedente Regolamento n.653 del 1968,
relativo alle condizioni di modifica del valore dell’unità di
conto utilizzata per la politica agraria comune .
Più
nello specifico, si rilevava un’apparente discordanza tra la
versione inglese dell’art.6 e le versioni dello stesso articolo
nelle altre lingue ufficiali . L’espressione “..the event ...in
which .. the amount becomes due and payable” , veniva resa in
francese con “ le fait gènèrateur de la crèance “ e con
espressioni corrispondenti a quella francese nelle altre lingue.
Così
la Commissione aveva riconosciuto la discordanza basandosi sui
suggerimenti dell’Avvocato Generale Capotorti, facendo riferimento
al caso Van Der Vecht, ove si precisava che, in caso di dubbio
sull’interpretazione di una delle versioni linguistiche , si
dovesse fare riferimento alle versioni esistenti nelle altre lingue
della Comunità.
A
seguito di tale confronto , l’espressione “ due and payable”
avrebbe dovuto essere interpretata alla luce delle altre versioni e
quindi perdere in sostanza il suo significato comune.
In
detta sentenza , tuttavia , la Corte fece propria la preoccupazione
che l’eliminazione delle discordanze linguistiche conseguita per
questa strada, potesse , almeno in determinati casi, risultare
contraria al principio della certezza del diritto: circostanza che
era destinata ad avverarsi, ad esempio, allorquando una o più
versioni di una certa norma finissero per essere interpretate in modo
non corrispondente al senso normale e naturale delle parole;
Così
la Corte ritenne che fosse preferibile cercare di pervenire ad una
soluzione dei punti controversi senza dare la preferenza all’una o
all’altra versione ed esaminando invece il contesto e lo scopo
della norma ;
un
altro esempio pertiene il caso Regina c. Pierre Boucherau (sentenza
Corte 27 ottobre 1977) , sempre a seguito di un rinvio pregiudiziale
proveniente da una corte di “ common law ” ; la controversia
era insorta circa l’interpretazione da attribuire al termine “
measures” , “ provvedimento” , ai sensi dell’art.3, nn.1 e
2 della Direttiva n.64/221, concernente le limitazioni alla libera
circolazione per motivi di ordine pubblico .
Il
Governo britannico sosteneva che “ dall’identità del termine
inglese “ measures” , usato tanto
nell’art.2 quanto nell’art.3, deve inferirsi ch’esso ha
necessariamente lo stesso significato in entrambi i casi, e che dal
preambolo della direttiva emerge che , nell’art.2, detto termine
riguarda esclusivamente le disposizioni legislative,regolamentari e
amministrative e non si riferisce, quindi, agli atti di organi
giurisdizionali; dal raffronto con le altre versioni linguistiche ,
la Corte rilevò , però , che nei testi in questione, ad eccezione
di quello italiano, i termini ricorrenti nei due articoli erano,
volta a volta diversi, cosicchè dalla terminologia usata non
potevano ricavarsi indicazioni specifiche sul piano giuridico .
Anche
in questo caso la Corte ebbe a ribadire che “ le varie versioni
linguistiche di un testo comunitario vanno interpretate in modo
uniforme e perciò, in caso di divergenza fra le versioni stesse, la
disposizione in questione dev’essere intesa in funzione del sistema
e delle finalità della normativa di cui essa fa parte ; la direttiva
n.64/221 , che coordina , per quanto riguarda i cittadini degli altri
Stati membri, i vari regimi nazionali in materia di polizia degli
stranieri, mira a tutelare detti cittadini contro qualsiasi atto,
inerente all’esercizio dei poteri,derivanti dalla deroga relativa
alle limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza e di sanità pubblica, che vada oltre quanto è
necessario a giustificare un’eccezione al principio fondamentale
della libera circolazione delle persone .” .
Altro
esempio riguardava la causa 11/76, sentenza della Corte del 7
febbraio 1979, Governo dei Paesi Bassi contro Commissione delle
Comunità Europee = analoga controversia , con analoghe
argomentazioni sviluppate dalla Corte si rinviene in Causa 18/76,
sentenza della Corte del 7 febbraio 1979, Governo della Repubblica
Federale di Germania contro Commissione delle Comunità Europee = per
verificare l’effettiva portata di una previsione normativa, ove fu
tenuto fermo il principio del contesto di riferimento della norma.
In
tale causa il ricorso era stato presentato dai Paesi Bassi contro le
decisioni adottate dalla Commissione in relazione alla liquidazione
dei conti presentati dal Regno dei Paesi Bassi per le spese degli
esercizi 1971 e 1972 finanziate dal Fondo Europeo Agricolo di
Orientamento e di Garanzia (FEAOG), aveva per oggetto
l’interpretazione dell’art.8 del Regolamento del Consiglio 21
aprile 1970, n.729, relativo al finanziamento della politica agricola
comune = pubblicato in GU del 14 aprile 1970,p.13= .
La
norma in questione stabiliva che “ in mancanza di recupero totale,
le conseguenze finanziarie delle irregolarità o negligenze sono
sopportate dalla Comunità , salvo quelle risultanti da irregolarità
o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli
Stati membri. “ ; il Governo olandese sosteneva che tale norma
dovesse essere intesa nel senso che le conseguenze dell’inesatta
applicazione di norme comunitarie da parte di un’autorità
nazionale dovessero essere sopportate dalla Comunità in tutti i casi
in cui l’inesattezza non fosse imputabile agli organi
amministrativi o agli enti dello Stato membro in questione, ma
derivasse invece da un’interpretazione che , per quanto
obiettivamente erronea, fosse stata adottata in buona fede .
Gli
Stati membri avrebbero dovuto invece sopportare le conseguenze
finanziarie soltanto nei casi in cui l’inesatta applicazione di una
norma comunitaria fosse dovuta al comportamento illecito di un organo
o di un ente nazionale .La Commissione , al contrario,riteneva che
l’art.8,n.2 dovesse considerarsi irrilevante ai fini della
soluzione della controversia, riguardando tale norma solo le
irregolarità e le negligenze imputabili ai singoli in quanto
beneficiari delle spese del FEAOG, prendendo in considerazione quelle
imputabili agli Stati membri solamente nell’ipotesi eccezionale che
irregolarità o negligenze siano state commesse da pubblici
dipendenti che agiscano violando i propri doveri di ufficio .
La
Corte , analizzando il testo dell’art.8 nelle sue varie versioni
linguistiche, considerò che “..alla luce della sua genesi e dei
lavori preparatori ( elementi sui quali hanno basato i loro argomenti
nel corso del procedimento)” risultasse sotto vari aspetti ”troppo
contradditorio ed equivoco per poter fornire la soluzioni delle
questioni controverse.”
Essendo
la comparazione tra le diverse versioni linguistiche inutile ai fini
dell’identificazione dell’esatta portata della norma , la Corte
dunque concluse che ai fini dell’interpretazione della disposizione
di cui all’art.8 fosse “ opportuno
considerare il contesto entro il quale essa si colloca e le finalità
perseguite dalla relativa disciplina” e la stessa “ ratio” sul
regolamento in questione, ossia decise che l’applicazione
obiettivamente erronea del diritto comunitario, basata
sull’interpretazione adottata in buona fede dalle autorità
nazionali, non potesse essere disciplinata dall’art.8 del
Regolamento 729/70, ma andasse invece valutata in relazione alle
disposizioni generali degli articoli 2 e 3 dello stesso Regolamento,
secondo i quali sono finanziate dal FEAOG le restituzioni concesse e
gli interventi effettuati “ secondo norme comunitarie”
nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli .
Queste disposizioni
permettevano quindi alla Commissione di porre a carico del FEAOG
solamente gli importi corrisposti ih conformità alle norme emanate
per i vari settori dell’agricoltura, lasciando a carico degli Stati
membri qualsiasi altro importo, ed in particolare quelli che le
autorità nazionali avessero a torto ritenuto di poter pagare
nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati.
Altro
esempio ritrovasi in caso Klaius Mecke et Co, contro Hauptzollant
Bremen-Ost ( causa 816/79 , del 16 ottobre 1980)= domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht di Brema = :la
Corte affrontò un caso di interpretazione della tariffa doganale
comune , ove considerò di nuovo il contesto normativo in cui la
disposizione in analisi si collocava, senza attribuire alla
comparazione tra le diverse lingue ufficiali alcuno specifico rilievo
circa l’esatta identificazione di una voce di spesa ; la vicenda
riguardava una controversia su una partita di cascami di fibre
tessili sintetiche ( tranciate in frammenti di 6-7 cm ) .
In
tale vertenza ,da un lato l’importato dichiarava la merce come “
borre di cimatura di fibre sintetiche”, di cui alla voce 59.01 B I
della Tariffa doganale, soggette ad un dazio convenzionale del 4%,
dall’altro l’Ufficio doganale riteneva che si trattasse di fibre
tessili sintetiche di cui alla voce 56.01 A della medesima Tariffa,
sulle quali gravava invece un dazio convenzionale del 9% . Nel corso
del procedimento davanti alla Corte , l’attrice aveva insistito sul
fatto che la voce 56.01 A riguardasse solo le fibre tessili che
potevano venir utilizzate per la filatura, e non già i cascami
cortissimi come quelli da lei importati; da un confronto tra le varie
versioni linguistiche delle voci in questione, risultò che le
difficoltà interpretative in cui si era imbattuto il giudice
nazionale derivavano sopratutto dall’importazione della versione
tedesca della Tariffa .
La
Corte ritenne dunque di dover tener contro simultaneamente di tutte
le versioni nelle rispettive lingue ufficiali ; il raffronto delle
diverse versioni, dimostrò solo che l’espressione impiegata in
tedesco faceva richiamo al procedimento della filatura (“Spinnfasern
“ ) . Tuttavia , la stessa espressione tedesca si presentava come
ambivalente, in quanto era potenzialmente riferibile sia alle fibre
mediante filatura, così come alle fibre destinate alla filatura .
Si
concluse quindi che l’interpretazione proposta dall’attrice,
mirante a riferire la voce 56.01 alle sole fibre con finalità di
filatura, non potesse essere giustificata alla luce delle altre
versioni linguistiche .
Passando ad esaminare
il contenuto dell’altra voce in questione della Tariffa la 59.01 B
I nelle diverse versioni , la Corte osservò che tra di loro erano
disomogenee : quattro ( versione tedesca, francese, italiana ,
olandese) facevano ricorso ad una sola nozione, pur ponendo l’accento
sul procedimento di tosatura; le versioni inglese e danese
contenevano invece due nozioni accostate, relative al solo aspetto
esterno del prodotto e senza alcun riferimento al procedimento di
lavorazione ; la versione tedesca , infine , combinava in una sola
parola composta sia l’operazione di tosatura sia l’aspetto
polveroso del prodotto.
A
tal proposito la Corte , vedendo come la voce 59.01 B I non fosse
univoca, per evitare divergenze, ritenne essenziale verificare quale
fosse il contesto normativo di riferimento , facendo ricorso alle
Note esplicative del Consiglio di Cooperazione doganale, dalle quali
si evinse che le varie espressioni ella voce 59.01 B I fossero solo
la descrizione , più o meno approssimativa , di un complesso di
fibre che poteva anche ricomprendere i cascami tessili come quelli su
cui verteva la controversia .
Ancora
un esempio traggasi dal caso , Causa 136/80, sentenza del 17
settembre 1981 , Hudig en Piters BV contro Ministero per
l’Agricoltura e la Pesca = domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal College van BeroepvorrHetBedrijfsleven =, dove l’analisi
condotta sull’art.35,1 comma, del Regolamento del Consiglio
n.542/69 portò la Corte ad un confronto tra le diverse versioni
linguistiche per appurare se l’espressione olandese “ degene die
zekerheidheeftgesteld” ( “ colui che ha prestato la garanzia” )
dovesse comprendere anche l’obbligato principale ai sensi di detta
normativa .
Vista
l’ambivalenza che avrebbe potuto presentare l’espressione: “
colui che ha prestato garanzia” , la Corte suggerì
l’interpretazione di quell’articolo “ in funzione sia degli
scopi che della struttura generale della normativa di cui fa parte “
.
Altro
esempio è a trarsi da Causa 9/79, sentenza della Corte ( prima
sezione) del 12 luglio 1979, Mariannne Koschniske in Woersdorfer
contro Raadvam Arbeid = domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
dal Raad van Berope di Zwolle-Paesi Bassi=: la controversia verteva
sull’interpretazione dell’art.10,n.1, lett.b) del Regolamento del
Consiglio del 21 marzo 1972,n.574 (GUL74, pag.1), che stabiliva le
modalità di attuazione del Regolamento n.1408/71 relativo
all’applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori
subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della
Comunità , poi modificato dai Regolamenti del Consiglio nn.878/73
(GU 1973/mn.L86 , pag.1 e 1209/76 , GU 1976,n. L138,pag.1 .
In
particolare la versione olandese della disposizione in questione
parlava di “ moglie” , piuttosto che di “
coniuge” , così come facevano tutte le altre versioni linguistiche
del medesimo Regolamento .
Se
si fosse considerata la sola versione olandese, si sarebbe potuto
credere che il termine impiegato si riferisse solo in via esclusiva
ad una persona di esso femminile.
Tuttavia
, data la necessità che i Regolamenti comunitari vengano
interpretati in modo uniforme , la Corte ribadì che il testo della
disposizione non potesse essere considerato isolatamente , bensì
interpretato ed applicato alla luce dei testi redatti nelle altre
lingue ufficiali, da cui risulta che impiegano tutte termini che si
riferiscono tanto ai lavoratori che alle lavoratrici “
aegtefaellen” , “
ehegatte” , “ spouse” , “ conjoint” “ coniuge”.
Solo
in un secondo tempo la Corte si interrogava se tale interpretazione
potesse essere suffragata alla luce dello scopo della disposizione e
del principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso
maschile e lavoratori di sesso femminile.
Infine
, nondimeno , si riafferma il canone interpretativo “ secondo lo
scopo “ in sede di decisione sul caso Oceano Gruppo Editorial e
Salvat Editores SA c. RocioMurciano Quintero e altri, cause riunite
da C-240/98 a C-244/98, del 27 giugno 2000, ove la Corte si è
nuovamente trovata ad affrontare la questione dell’efficacia di una
direttiva tra persone private: due case editrici di Barcellona,
Oceano Editorial e SalvatEditores concludevano tra il 1995 e il 1996
alcuni contratti di vendita di enciclopedie con consumatori di
nazionalità spagnola , ma residenti in regioni diverse .
Tra
le clausole del contratto di vendita era prevista una clausola di
competenza esclusiva del foro del venditore in caso di controversia ,
clausola da considerare vessatoria e quindi nulla tanto secondo la
direttiva n.93/13 quanto secondo la Ley n.7/1998 che ha dato
attuazione alla direttiva; successivamente gli acquirenti rifiutavano
il pagamento delle enciclopedie e venivano citati dalle imprese
venditrici avanti al Tribunale di Barcellona.
In
detta controversia, i consumatori non si costituivano in giudizio,
non eccependo, così , la clausola di vessatorietà , ed il Tribunale
, persuaso che l’ordinamento spagnolo non consentisse al Tribunale
di rilevare di ufficio la vessatorietà della clausola, poneva il
problema della contrarietà dell’enunciato legislativo al diritto
comunitario, e, quindi, se il Tribunale adito dovesse di ufficio
declinare la propria competenza .
La
Corte di Giustizia non condivise la prassi dell’ordinamento
spagnolo che non ammette la rilevabilità di ufficio della
vessatorietà di una clausola, ed affermò , di contro , che “ la
tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva...concernente le
clausole vessatorie sui contratti stipulati con i consumatori,
comporta che il giudice nazionale, nell’esaminare l’ammissibilità
di un’istanza propostagli, possa valutare d’ufficio l’illiceità
di una clausola del contratto di cui è causa “ , infatti
bell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che di
tratti di norme precedenti o successive alla direttiva , il giudice
nazionale “ deve interpretarle quanto più possibile alla luce
della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il
risultato perseguito da quest’ultima . “ .
Partendo dalle
disposizioni contenute nella CEDU, la giurisprudenza è giunta
all’elaborazione di un “diritto interpretato” in tema di
diritti fondamentali; si è avuto così, da parte degli Stati,
l’assunzione da parte della Corte di Strasburgo dell’onere di
procedere all’elaborazione di una sorta di “jus commune” dei
diritti umani, attraverso l’interpretazione e l’applicazione del
testo scritto: ciò ha indotto parte della dottrina ad individuare in
“prudenza” e “progressività” le parole chiave della CEDU.
Pertanto la scelta del
metodo d’interpretazione da applicare non sia mai tecnica o
neutrale, ma dipenda costantemente da considerazioni di natura
metagiuridica.
La regola base
attribuisce dunque primazia al modello “testuale” od
“oggettivo”, in nome del quale è necessario privilegiare in
primo luogo il senso ordinario da attribuire alle parole scritte del
trattato nel loro contesto; il senso comune da conferire alle parole
rappresenta un punto di partenza imprescindibile dell’attività
interpretativa.
Bisogna, per forza
,superare il mero dato letterale facendo riferimento al contesto,
all’oggetto, allo scopo o ai mezzi complementari di applicazione,
i quali hanno il compito di confortare l’assunto costì raggiunto.
L’art 31 si riporta
al contesto normativo, che viene a svolgere un ruolo fondamentale
nella giurisprudenza della Corte. L’analisi del contesto è
compresente nella più parte delle statuizioni degli organi
giurisdizionali di Strasburgo, i quali sono soliti accostarsi ad
altri articoli della Convenzione:per esempio laddove parlasi di
“magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni
giurisdizionali” ai sensi dell’art. 5 CEDU, la Corte esercita
un raffronto con le nozioni di “giudice” e di “ tribunale”
contenute nell’art. 6.
Frequenti sono anche i
casi in cui la Corte preleva il tessuto normativo da altri testi
internazionali, quali la Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo,
il Patto Internazionale del 1966 relativo ai diritti civili e
politici e lo Statuto del Consiglio d’Europa.
L’art. 31 introduce
invoca l’oggetto e dello scopo del trattato, in modo che gli stessi
assumono un’importanza peculiare poiché legittimano l’utilizzo,
da parte dell’interprete, del metodo “teleologico” o “logico”.
Invero proprio
nell’ambito delle convenzioni in materia di diritti dell’uomo il
prefato metodo ha avuto ampia applicazione: laggiù si stabilisce
che esse debbano essere interpretate conformemente al loro scopo di
tutelare l’individuo e che quindi, qualora siano plausibili più
interpretazioni, occorre scegliere quella che reca maggior vantaggio
all’interessato. Il metodo teleologico ha trovato grande
applicazione anche in merito alla CEDU, come nel caso Soering, nel
1987.
Un’applicazione
emblematica del principio teleologico si ebbe nel caso Marckx c.
Belgio del 13 giugno 1979, in punto diritto di famiglia; la Corte si
rapportò al preambolo della CEDU, laddove enuncia come uno degli
scopi del Consiglio d’Europa sia quello di ricercare la
collaborazione tra i Paesi membri e come ciò implichi la necessità
di edificare un diritto europeo uniforme: “ . In base a tali
argomentazioni, la Corte condannò quindi il Belgio che non aveva
provveduto a riformare in senso comunitario il proprio diritto di
famiglia, diversamente da quanto avvenuto in Francia, Italia e nei
Paesi Bassi: lo scopo di unificazione imponeva infatti al Belgio di
adeguarsi alle innovazioni introdotte dagli altri Stati.”.
È evidente come, in
virtù di un’interpretazione teleologica, si sia pervenuti ad
un’applicazione della CEDU di chiara matrice evolutiva. Gli
articoli 32 e 33 della Convenzione di Vienna regolano i mezzi
complementari d’interpretazione, il cui impiego è permesso solo
quando la regola generale non assicuri risultati apprezzabili.
Vedasi, ancora, come, facendo leva sul disposto della Convenzione
di Vienna, la Commissione e la Corte abbiano dato corpo ad una
propria prassi interpretativa, che riflette aspetti di spiccata
originarietà.
Tra i più importanti
principi interpretativi applicati a Strasburgo, è invalso il metodo
di di allineamento al canone dell’autonomia: proprio perché le
libertà e i diritti garantiti hanno uno specifico significato
autonomo, che esula da quello presente all’interno del diritto
nazionale dei singoli Stati firmatari, è compito della Corte
propendere verso uno “ jus commune” che non può e non deve
soggiacere alle singole qualificazioni giuridiche fornite dalle
disposizioni nazionali a quelle sancite dalla Convenzione.
La prima applicazione
del principio di autonomia si è manifestato in relazione all’art.
6 CEDU: la Corte si è infatti arrogata il compito di stabilire cosa
debba intendersi, ai sensi di tale articolo, per diritto civile e per
accusa penale. Con riferimento alla nozione di “diritto civile”,
la Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in controversie che
coinvolgevano l’Italia in materia di espropriazione e di vincoli
urbanistici: nel nostro Paese, infatti, tali materie sono riservate
alla giurisdizione del giudice amministrativo; la Corte ha quindi
stabilito che tale scelta, pur essendo consentita poiché rientra
nella discrezionalità di cui uno Stato può legittimamente far conto
nell’orbita del diritto processuale, non può comunque
misconoscere le garanzie stabilite a favore dell’individuo
dall’art. 6 CEDU, le quali devono essere rispettate anche dai
giudici amministrativi.
Nell’ambito penale,
interessante è quanto affermato nella sentenza Le Compte, Van Leuven
e De Meyere c. Belgio del 24 ottobre 1983: i protagonisti erano tre
medici di nazionalità belga, i quali erano stati radiati dall’albo
e sospesi dall’esercizio della professione perché ritenuti
colpevoli di aver commesso fatti illeciti. La Corte riconobbe
nell’espulsione di un medico dall’albo non già un mero e
provvedimento disciplinare, come affermava lo Stato belga, bensì
un’autentica a sanzione penale, anche in ragione delle pesanti
conseguenze arrecate alla vita quotidiana dei tre protagonisti della
vicenda.
Si stabilì quindi che
tale sanzione potesse essere assunta solo in constanza delle garanzie
prescritte dall’art. 6. Si veda infine quanto scritto nelle
sentenza Konig e Georgiadis, sempre in relazione all’art. 6 CEDU:
si trattava, in entrambi i casi, di affermare cosa dovesse
intendersi con la locuzione “diritti ed obblighi di carattere
civile”, di cui al paragrafo 1 del citato articolo:“ (sentenza
Konig, 10 marzo 1980). (sentenza Georgiadis del 29 maggio 1997).
Altro principio
fondamentale applicato dalla Corte è quello di effettività, in base
a cui si afferma che le disposizioni della CEDU debbano essere
applicate in modo da renderle suscettive di effetti pratici nella
singola fattispecie .
Si esalta quaggiù lo
spirito innovativo, che oltrepassa la nozione formale per adeguarsi
alle necessità della realtà. Significative le affermazioni della
Corte durante le eccezioni preliminari relative al caso Loizidou del
23 marzo 1995: “. Da ricordare è poi il principio del margine di
apprezzamento agli Stati nazionali. Esso si basa su un concetto
fondamentale per comprendere il reale significato della Convenzione:
i diritti e le libertà fondamentali all’individuo devono essere
sempre intesi come diritti e libertà di un uomo all’interno di una
collettività; deve quindi esserci sempre un equilibrio tra il
rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e la salvaguardia
dell’interesse generale della comunità. quindi possibile
sottoporre la sfera privata di un soggetto ad ingerenze e limiti
imposti dalle .
Vieppiù nella sentenza
Chorherr del 25 agosto 1993 si legge:”L’esistenza di un simile
potere in mano agli Stati viene di norma giustificata con il fatto
che le autorità nazionali hanno una maggiore consapevolezza della
realtà quotidiana e locale e siano quindi in grado di valutare le
singole situazioni meglio di quanto farebbe un giudice
sopranazionale.”.
Significativo a
proposito è il seguente paragrafo attinto dalla sentenza Laskey,
Jaggard e Brown del 19 febbraio 1997:”
Alla base del margine
di apprezzamento vi è dunque un profondo rispetto per l’identità
storica, culturale e socio-politica dei singoli Stati membri: il
raggiungimento degli obiettivi della CEDU non può mai avvenire a
discapito delle realtà locali, né può portare ad ignorare le forti
differenze presenti tra Stati.”.
Pertanto è fatto
obbligo alla Corte “ garantire, in ragione dell’eterogeneità che
caratterizza il continente europeo, una sfera di autonomia alle
singole Nazioni, senza che ciò vada a compromettere l’unità
europea”, al fine di contemperare il difficile equilibrio tra le
necessità locali e il raggiungimento dei fini ultimi della
Convenzione.
Così è chiaro come
gli articoli della CEDU non debbano essere interpretati con
riferimento al contesto storico in cui furono elaborati, ma occorra
invece tener conto delle evoluzioni dei costumi e del contesto
sociale. Per questo motivo la CEDU finisce per elevarsi a strumento
vivente da interpretare ed applicare alla luce delle esigenze della
società pluralista contemporanea . Ciò evincesi in campo normativo
laddove parlasi di buon costume e di morale pubblica: la moralità in
vigore negli anni Cinquanta del XX secolo è, decisamente, superata,
pertanto è insostenibile esecrare le condotte che avrebbero
scandalizzato cinquant’anni fa.
Bisogna,
da ultimo ma non per ultimo, significare come la Corte di Giustizia
Europea abbia fatto riferimento al predetto canone ermeneutico nel
seguente caso: (Corte CE, Sez. III): Sentenza 31 gennaio 2013, n.
C-12/11
«Trasporto
aereo – Regolamento (CE) n. 261/2004 – Nozione di “circostanze
eccezionali” – Obbligo di prestare assistenza ai passeggeri in
caso di cancellazione di un volo per “circostanze eccezionali” –
Eruzione vulcanica all’origine della chiusura dello spazio aereo –
Eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull»
1)
L’articolo 5 del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, che istituisce
regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri
in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo
prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, deve essere
interpretato nel senso che circostanze come la chiusura di una parte
dello spazio aereo europeo a seguito dell’eruzione del vulcano
Eyjafjallajökull costituiscono «circostanze eccezionali» ai sensi
di tale regolamento, che non esimono i vettori aerei dal loro obbligo
di prestare assistenza previsto dagli articoli 5, paragrafo 1,
lettera b), e 9 del regolamento n. 261/2004.
2) Gli articoli 5,
paragrafo 1, lettera b), e 9 del regolamento n. 261/2004 devono
essere interpretati nel senso che, in caso di cancellazione di un
volo per «circostanze eccezionali» di durata come quella di cui al
procedimento principale, l’obbligo di prestare assistenza ai
passeggeri previsto da tali disposizioni deve essere adempiuto e ciò
non inficia la validità di tali disposizioni.
Tuttavia, un
passeggero può ottenere, a titolo di compensazione pecuniaria per il
mancato rispetto da parte del vettore aereo del suo obbligo di
prestare assistenza di cui agli articoli 5, paragrafo 1, lettera b),
e 9 del regolamento n. 261/2004, soltanto il rimborso delle somme
che, alla luce delle circostanze di ciascun caso concreto,
risultavano necessarie, appropriate e ragionevoli al fine di ovviare
all’omissione del vettore aereo nel prestare assistenza al suddetto
passeggero. Tale profilo deve essere valutato dal giudice nazionale.
Altresì,
dei princiopiii interpretativi suindicati, sono permeate le seguenti
pronuncie:
SENTENZA DELLA CORTE
(Grande Sezione)26 febbraio 2013
«Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea – Ambito di applicazione –
Articolo 51 – Attuazione del diritto dell’Unione – Repressione
di comportamenti lesivi di una risorsa propria dell’Unione –
Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Sistema nazionale
che comporta due procedimenti distinti, amministrativo e penale, per
sanzionare la medesima infrazione – Compatibilità».
Nella causa
C 617/10,avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo
Haparandatingsrätt (Svezia), con decisione del 23 dicembre 2010,
pervenuta in cancelleria il 27 dicembre 2010, nel procedimento
Åklagaren
contro
Hans ÅkerbergFransson,
Il
sig. Åkerberg Fransson era stato chiamato a comparire il 9
giugno 2009 dinanzi allo Haparanda tingsrätt (tribunale di
primo grado di Haparanda), in particolare per rispondere
dell’imputazione di frode fiscale aggravata. Egli era accusato di
aver fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni fiscali per
gli esercizi 2004 e 2005, con conseguente rischio per l’erario di
perdere entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito
e dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»),
pari a SEK 319 143 per l’esercizio 2004, di cui
SEK 60 000 a titolo dell’IVA, e a SEK 307 633
per l’esercizio 2005, di cui SEK 87 550 al medesimo
titolo. Il sig. Åkerberg Fransson era altresì imputato
per aver omesso di presentare alcune dichiarazioni relative ai
contributi sociali dei datori di lavoro per i periodi di riferimento
dei mesi di ottobre 2004 e di ottobre 2005, con conseguente pericolo
per gli enti previdenziali di perdere introiti pari a SEK 35 690
e SEK 35 862 rispettivamente. Secondo l’atto di
citazione, gli illeciti erano da considerare aggravati, da un lato,
per la rilevanza degli importi di cui trattasi e, dall’altro, per
il fatto di essere stati compiuti nell’ambito di un’attività
criminale abituale su vasta scala.
Con
decisione del 24 maggio 2007, la skatteverket ha inflitto al
sig. Åkerberg Fransson, per l’esercizio fiscale 2004,
una sovrattassa di SEK 35 542 a titolo dei redditi
derivanti dalla sua attività economica, di SEK 4 872 a
titolo dell’IVA e di SEK 7 138 a titolo dei contributi
sociali dei datori di lavoro. Con la stessa decisione gli ha
parimenti inflitto, per l’esercizio fiscale 2005, una sovrattassa
di SEK 54 240 a titolo dei redditi derivanti dalla sua
attività economica, di SEK 3 255 a titolo dell’IVA e di
SEK 7 172 a titolo dei contributi sociali dei datori di
lavoro. Le sovrattasse erano maggiorate di interessi. Esse non sono
state oggetto di ricorso dinanzi al giudice amministrativo, essendo
il termine a tal fine scaduto il 31 dicembre 2010, per quanto
riguarda l’esercizio fiscale 2004, e il 31 dicembre 2011, per
quanto riguarda l’esercizio fiscale 2005. La decisione di
imposizione delle sovrattasse si fonda sulla stessa comunicazione di
dati inesatti che è alla base della descrizione del reato formulata
dal Pubblico Ministero nel procedimento penale principale.
L’ambito
di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli
Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della
medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano
agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto
dell’Unione.
Tale
articolo della Carta conferma pertanto la giurisprudenza della Corte
relativa alla misura in cui l’operato degli Stati membri deve
conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti fondamentali
garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione.
Da
una costante giurisprudenza della Corte risulta infatti
sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento
giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni
disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A
tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto
riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non
si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per contro, una
volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di
applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale,
deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la
valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di
tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il
rispetto (v. segnatamente, in tal senso, sentenze del 18 giugno
1991, ERT, C 260/89, Racc. pag. I 2925, punto 42;
del 29 maggio 1997, Kremzow, C 299/95, Racc. pag. I 2629,
punto 15; del 18 dicembre 1997, Annibaldi, C 309/96,
Racc. pag. I 7493, punto 13; del 22 ottobre 2002,
Roquette Frères, C 94/00, Racc. pag. I 9011,
punto 25; del 18 dicembre 2008, Sopropé, C 349/07,
Racc. pag. I 10369, punto 34; del 15 novembre
2011, Dereci e a., C 256/11, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 72, nonché del 7 giugno 2012, Vinkov,
C 27/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 58).
Tale
definizione dell’ambito di applicazione dei diritti fondamentali
dell’Unione è confermata dalle spiegazioni relative all’articolo
51 della Carta, le quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo
1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta,
debbono essere prese in considerazione per l’interpretazione di
quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, DEB,
C 279/09, Racc. pag. I 13849, punto 32).
Secondo tali spiegazioni, «l’obbligo di rispettare i diritti
fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati
membri soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del
diritto dell’Unione».
Di
conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta
devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra
nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non possono
quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che
tali diritti fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità
del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali
garantiti dalla Carta.
Ove,
per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera
d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è
competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente
richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (v.,
in tal senso, ordinanza del 12 luglio 2012, Currà e a.,
C 466/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).l
Per questi motivi, la
Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Il
principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno
Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi
dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione
tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima
sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere
verificata dal giudice nazionale.
2) Il
diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e gli ordinamenti
giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che
un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i
diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto
nazionale.
Il diritto dell’Unione
osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il
giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in
contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea alla condizione che tale
contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla
relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice
nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la
collaborazione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la
compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima.
Di altrettanta
importanza è la decisione del 05/11/2012 della Corte di Giustizia
UE: legittima ingiunzione a un provider di fornire recapito
utilizzatore indirizzo IP per violazione diritto d'autore audiolibri
Diritto d’autore e diritti connessi – Trattamento di dati via
Internet – Lesione di un diritto esclusivo – Audiolibri resi
accessibili per mezzo di un server FTP via Internet tramite un
recapito IP fornito dall’operatore Internet – Ingiunzione rivolta
all’operatore Internet di fornire il nominativo ed il recapito
dell’utilizzatore dell’indirizzo IP.
Sentenza della Corte
(Terza Sezione),Nella causa C 461/10,
avente ad oggetto la
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’art. 267 TFUE, dallo Högstadomstolen (Svezia), con decisione
del 25 agosto 2010, pervenuta in cancelleria il 20 settembre 2010,
nella causa
Bonnier Audio AB,
Earbooks AB,
NorstedtsFörlagsgrupp
AB,
Piratförlaget AB,
Storyside AB
contro
Perfect Communication
Sweden AB,
La
Corte ha tuttavia aggiunto che, nella trasposizione, segnatamente,
delle direttive 2002/58 e 2004/48, gli Stati membri devono avere cura
di fondarsi su un’interpretazione delle direttive medesime tale da
garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali
tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Inoltre, in sede
di attuazione delle misure di recepimento di tali direttive, le
autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare
il loro diritto nazionale in modo conforme a dette direttive, bensì
anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di esse che
entri in conflitto con i summenzionati diritti fondamentali o con gli
altri principi generali del diritto dell’Unione, quale, ad esempio,
il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza
Promusicae, cit. supra, punto 68, e ordinanza LSG-Gesellschaftzur
Wahrnehmung von Leistungsschutzrechten, cit. supra, punto 28).
La direttiva 2006/24/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006,
riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito
della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili
al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la
direttiva 2002/58/CE, dev’essere interpretata nel senso che non
osta all’applicazione di una normativa nazionale, istituita sulla
base dell’articolo 8 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti
di proprietà intellettuale, la quale, ai fini dell’identificazione
di un abbonato a Internet o di un utente Internet, consenta di
ingiungere ad un operatore Internet di comunicare al titolare di un
diritto di autore ovvero al suo avente causa l’identità
dell’abbonato al quale sia stato attribuito un indirizzo IP
(protocollo Internet) che sia servito ai fini della violazione di
tale diritto, atteso che tale normativa non ricade nella sfera di
applicazione rationemateriae della direttiva 2006/24.
Resta irrilevante,
nella causa principale, la circostanza che lo Stato membro
interessato non abbia ancora provveduto alla trasposizione della
direttiva 2006/24 malgrado la scadenza del termine a tal fine
previsto.
Le direttive 2002/58/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa
al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata
nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla
vita privata e alle comunicazioni elettroniche), e 2004/48 devono
essere interpretate nel senso che non ostano ad una normativa
nazionale, come quella oggetto della causa principale, nella parte in
cui tale normativa consente al giudice nazionale, dinanzi al quale
sia stata proposta, da parte di un soggetto legittimato ad agire,
domanda di ingiunzione di comunicare dati di carattere personale, di
ponderare, in funzione delle circostanze della specie e tenuto
debitamente conto delle esigenze risultanti dal principio di
proporzionalità, i contrapposti interessi in gioco.
Così pure vedasi in
altra decisione: Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 15
ottobre 2009. Djurgården-Lilla Värtans
Miljöskyddsförening contro Stockholms kommun genom dess marknämnd.
Domanda
di pronuncia pregiudiziale: Högsta domstolen - Svezia.
Direttiva
85/337/CEE - Partecipazione del pubblico al processo decisionale in
materia ambientale - Diritto di intentare un ricorso contro le
decisioni di autorizzazione di progetti che possono avere un notevole
impatto sull’ambiente. Causa C-263/08.
La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle
disposizioni della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985,
85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), come
modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26
maggio 2003, 2003/35/CE (GU L 156, pag. 17; in prosieguo: la
«direttiva 85/337»).
Tale domanda è stata presentata
nell’ambito di una controversia tra il Djurgården-Lilla Värtans
Miljöskyddsförening (associazione per la tutela dell’ambiente di
Djurgården-Lilla Värtan; in prosieguo: il «Miljöskyddsförening»)
e la Stockholm skommun genomdess marknämnd (comune di Stoccolma; in
prosieguo: la «Stockholmskommun»).
la necessità di
un’interpretazione del genere esige che, in caso di divergenza tra
queste varie versioni linguistiche, la disposizione in questione
venga intesa in funzione del sistema e delle finalità della
normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza 7 dicembre
1995, causa C-449/93, Rockfon, Racc. pag. I-4291, punto 28).
Per
questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1) Un progetto
come quello in esame nella causa principale, riguardante il drenaggio
delle acque infiltrate in un tunnel che accoglie cavi elettrici e
l’introduzione di acqua nel suolo o nella roccia al fine di
compensare un eventuale abbassamento del livello delle acque
freatiche nonché la realizzazione e la manutenzione di impianti per
il drenaggio e l’introduzione di acqua, rientra nel punto 10, lett.
l), dell’allegato II della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985,
85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003,
2003/35/CE, a prescindere dalla destinazione finale delle acque
freatiche e, in particolare, indipendentemente dal fatto che esse
facciano oggetto o meno di un successivo utilizzo.
2) I membri del
pubblico interessato, a norma degli artt. 1, n. 2, e 10 bis della
direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, devono
poter impugnare la decisione con cui un organo giurisdizionale,
appartenente all’organizzazione giudiziaria di uno Stato membro, si
è pronunciato in merito ad una domanda di autorizzazione di un
progetto, a prescindere dal ruolo che hanno potuto svolgere
nell’istruzione di detta domanda prendendo parte al procedimento
dinanzi a detto organo e facendo valere la propria posizione in tale
occasione.
3) L’art. 10 bis della direttiva 85/337, come
modificata dalla direttiva 2003/35, osta a una disposizione di una
normativa nazionale che riserva il diritto di esperire un ricorso
contro una decisione relativa a un’operazione rientrante
nell’ambito di applicazione della direttiva in parola, come
modificata, alle sole associazioni di tutela dell’ambiente con un
numero minimo di 2 000 aderenti.
Il criterio evolutivo è
il principio interpretativo che meglio degli altri può far
comprendere l'operazione profondamente innovativa svolta dagli organi
giudiziari di Strasburgo in materia di diritto dei diritti umani; la
Commissione la Corte hanno deciso come fosse necessario garantire
un valore di grande importanza alla protezione della vita umana .
Il criterio
“obiettivo-teologico” è il modello migliore per assimilare tra
loro lingua e diritto; la lingua giuridica si staglia oltre il
documento normativo( coinvolgendo sia i “ discorsi del diritto”
sia quelli “sul diritto”, tentando di dipanare la coltre di
ambiguità che l’espressione comunicativa alza sul testo
legislativo.
Lo studioso del diritto
è consapevole che la lingua e la legge conformano l’individuo
all’ordine giuridico: per questo fa perno sul canone ermeneutico
del fine, dell’obiettivo (che dir si voglia), per rifuggire dalle
regole del disordine, sedando il contrasto tra conflitto ed
ingiustizia.
DOTT.
CLAUDIO CATTANI
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