martedì 13 agosto 2013

OSSERVAZIONI SULL’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE a cura del dott. Claudio Cattani


(“ Scire leges non est earum verba tenere sed vim ac potestatem “)

(Conoscere le leggi non è conoscerne le parole,ma comprenderne

lo spirito e la forza)


L’operatore del diritto naviga nel “mare magnum” delle leggi: parte dall’enunciato legislativo (che è l’oggetto dell’interpretazione) ed arriva alla norma che è il risultato dell’interpretazione); egli nuota tra marosi che lo spingono tra:

-il diritto: ossia il complesso di principii e regole codificati al fine di lo scopo di fornire agli appartenenti di una comunità criteri di comportamento su cui si fonda una ordinata convivenza;

-la legge: ossia il testo votato, approvato e promulgato dagli organi istituzionali deputati a deliberare atti suscettivi di comportamenti vincolanti per tutti i cittadini;

-la giustizia: ossia la traduzione , in ambito sociale, della volontà di riconoscere e rispettare i diritti e le aspettative altrui mediante l’attribuzione a ciascuno di quanto gli spetta secondo ragione e in base alla norma

E l’interpretazione incarna lo sforzo titanico ,in cui si misura il suo autore:essa invera il drammatico conflitto tra legge e giustizia.

Da tempo immemorabile viene avvertita questa stridente contraddizione tra la legge : ” “lex est aranea tela,quia, si in eam inciderit quid debile, retinetur; grave autem permansit tela rescissa” (“La legge è come una ragnatela: poichè se vi cade qualcosa di leggero lo trattiene; ciò che è pesante, invece, la rompe e passa oltre”e la giustizia: ”iustitia est constans et perpetua voluta iussuum cuique tribuendi” (“La giustizia è la costante e permanente volontà di dare a ciascuno il suo diritto”).

Compito del “causidico”, ossia di chi studia le cause giudiziarie fatte dal difensore e dal giudice, è quello di analizzare ( non già indicare ) il canone d’interpretazione della legge oggetto della causa in parola .

Il giudice dice il diritto ( “iusdicere”), il causidico legge il diritto( intende e comprende il significato del verdetto giudiziale).

Intendere e comprendere il diritto non è cosa facile ,dovendosi optare per una scelta condizionata da diverse letture del significato della legge in rilievo.

Costì viene enucleato il canone interpretazionale (cd.”obiettivo teleologico”)seguito dallo Scrivente.

Va fatta salva la seguente precisazione: l’Art.12 Disp. Prelim . al Codice Civile contiene un’insolubile contraddizione , prescrivendo all’interprete di ricercare il valore obiettivo delle parole, e, contemporaneamente , il contenuto dell’intenzione ( necessariamente soggettiva ) .

Ciò conduce ad un’astratta liceità di far uso di svariati canoni ermeneutici , ma non vi è dubbio che , nell’applicazione giudiziaria del diritto: la “ actio duplex” , di cui al “ sillogismo giudiziario “ , quella in cui il “fatto “ da qualificare occupa la parte della premessa minore, e la “ regola giuridica “, quella della premessa maggiore, o, quello della sussunzione della fattispecie concreta alla fattispecie esterna , non sono procedimenti mentali del tutto slegati l’uno dall’altro, ma processi che si intersecano o, quantomeno, si condizionano l’uno con l’altro.

Va messo conto che l’interpretazione giudiziale della norma, quale appuntasi al solo caso vagliando , deve, comunque, essere compiuta in modo da valere per tutti i casi di quel tipo: altrimenti viene leso il principio che impone di trattare in modo eguale casi eguali e , senza meno , quello in punto certezza del diritto (C.PEN., SEZ.III , 23-02-1994, in Giust.Pen.,1995,II,159 ) .

Per sviluppare il tema dell’interpretazione occorre definirne l’ambito, ovverochè:

A) la disciplina dell’interpretazione è valevole in tutti i settori dell’ordinamento giuridico (C.C.67/2931) ;

B) l’interpretazione di clausole di accordi sindacali che siano assunte a contenuto di norme regolamentari di un ente pubblico deve obbedire ai precetti dell’art.12 citato (CdS, VI,80/12 ) ;

C) l’interpretazione delle disposizioni contenute nei D.P.R. con cui sono recepite ed emanate, ai sensi dell’art.6 L.93/83 (l. quadro sul pubblico impiego), le norme risultanti dalla disciplina posta dagli accordi sindacali previsti dalla legge stessa, è denunciabile in sede di legittimità ex art.360 , n.5 C.P.C.(CC.93/6152) ;

D) in tema di trattamento normativo ed economico del personale sanitario a rapporto convenzionale , i D.P.R. che recepiscono gli accordi collettivi ex art.48 L.883/78, hanno natura regolamentare onde il giudice di legittimità può conoscere , ex art.360 n.5 C.P.C. , gli allegati vizi di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e può procedere direttamente all’interpretazione dei medesimi (C.C,2006/19511) ;

E) le antiche leggi non possono giovarsi della disciplina di nuovi istituti essendo fondate su concezioni inserentesi in un contesto storico diverso (CC.72/98 ) ;

F) con riguardo a sentenze della Corte Costituzionale dichiarative d’illegittimità di una norma , la necessità di riferirsi non solo al dispositivo ma anche alla motivazione , sussiste tutte le volte che solo quest’ultima permetta di delimitare , con precisione, ai fini di individuare l’oggetto della pronuncia , quali disposizioni debbano considerarsi caducate (CC.89/1850) ;

G) l’interpretazione dei principi di diritto fissati nella sentenza di cassazione con rinvio , specie ove non siano stati espressamente enunciati, ma debbano essere enucleati dall’intero corpo della decisione, non può avvenire mediante estensione dei criteri ermeneutici ex art.12 citato, visto che i presupposti per l’applicazione di detti criteri vanno individuati nella astrattezza e generalità del comando normativo e nel riferimento a tutte le fonti del diritto , di cui all’art.1 disp. prelim. al Codice Civile , ma deve aver luogo attraverso i criteri interpretativi ex art.1362 c.c. .

Ciò, in verità, è richiesto dalle stretta circolarità tra fatto e principio di diritto destinato a regolarlo, dalla limitazione dell’efficacia del suddetto principio alla singola controversia e dalla ridotta rilevanza del canone letterale di interpretazione nei frequenti casi in cui sia necessario procedere ad una interpretazione logico-sistematica della decisione, riferita all’intera motivazione .

Ne consegue che il ricorrente , il quale lamenti in sede di legittimità una errata interpretazione della S.C. , da parte del giudice del rinvio, ha l’onere di specificare i canoni ermeneutici violati in riferimento alle parti della motivazione censurate, nonchè di indicare le forme in cui si è manifestata la violazione denunziata, altrimenti risolvendosi, la censura, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella propria del giudice del rinvio (CC.2005/3352 , conf. CC.2004/07 , contra CC . 2004/17564 ) ;

H) le circolari ministeriali sono atti interni della P.A. destinate a regolare l’attività degli organi inferiori, ma non hanno alcuna efficacia giuridica nei confronti dei soggetti estranei, neppure ai fini dell’interpretazione delle norme (CC .73/54) ;

I) la prassi seguita dalla P.A. nell’interpretazione di propri regolamenti non ne costituisce valido canone ermeneutico (CC .75/4231 ) ;

L) i codici deontologici predisposti da ordini o collegi professionali, se non recepiti direttamente dal legislatore, non hanno nè la natura nè le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili ai criteri ex art.12 citato, essendo espressione di poteri di autorganizzazione di ordini e collegi, perciò la loro interpretazione segue il prefato art.1362 c.c. , per cui è sindacabile ex art.360 n.3 C.P.C., la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni ed ex art.360 n.5 ed il vizio di motivazione , che , però , non pertiene il caso in cui vogliasi far prevalere, sulla logica e coerente interpretazione seguita nel giudizio di merito , una diversa opzione ermeneutica patrocinata dalla parte ricorrente (CC . SU , 2003/10842 ) .

Riguardo al diritto comunitario esso, indipendentemente dalle norme , emanate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi , attribuisce loro dei diritti soggettivi , tali non solo perchè il Trattato espressamente li menziona ma, anche , quale contropartita di precisi obblighi che il Trattato impone agli Stati Membri (CGCE -05/02/1963, causa 26/92) ;

lo spirito e i termini del Trattato hanno, per corollario, l’impossibilità per gli Stati membri di far prevalere contro un ordinamento giuridico, se accettato a condizioni di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore il quale , peraltro, non è opponibile all’ordinamento stesso (CGCE 15/07/1964, causa 6/64 ) .

Ordinamento comunitario e Ordinamento statuale sono sistemi giuridici distinti ed autonomi , ancorchè coordinati tra loro secondo le ripartizioni stabilite e garantite dal Trattato . Tale rapporto e la sottostante limitazione della sovranità statale fanno sì che l’ordinamento italiano consenta che i regolamenti comunitari spieghino effetti in quanto tali e perchè tali nel territorio nazionale , ossia che venga riconosciuta a tali atti l’efficacia di cui sono provvisti nell’ordinamento di origine (C.COST.84/170).

Dicesi, primamente,che , cominciando dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, è ormai consolidata la tesi della preminenza delle norme sovranazionali nei loro rapporti con le norme degli Stati membri.

Le considerazioni svolte a questo proposito dalla Corte possono essere trasposte, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ai rapporti tra norme dell’Unione europea e norme degli Stati membri.

Nella dichiarazione n. 17 allegata all’atto finale della Conferenza di Lisbona si “ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i Trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei Trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza”.

Come precisato da un parere del Servizio giuridico del Consiglio, sebbene il principio della preminenza non trovi enunciazione nei Trattati (a differenza di quanto veniva stabilito nella Costituzione elaborata nel 2004), tale circostanza “non altera in alcun modo l’esistenza del principio stesso e la Giurisprudenza esistente della Corte di giustizia” [ Gaja g., Adinolfi a., Introduzione al diritto dell’Unione europea, Laterza, Bari, 2010, p. 183.

Nei casi in cui le autorità comunitarie abbiamo , mediante direttiva, obbligato gli stati membri ad adottare un determinato comportamento, la portata dell’atto sarebbe ristretta se i singoli non potessero far valere in giudizio la loro efficacia e se i giudici nazionali non potessero prenderlo in considerazione come norma di diritto comunitario.

E’ quindi opportuno esaminare , caso per caso , se la natura , lo spirito e la lettera della disposizione di cui trattasi permettano di riconoscerle efficacia immediata nei rapporti tra Stati membri e singoli (CGCE 04/12/1974 , causa 41/74), essendo detta direttiva priva di efficacia nei rapporti tra privati (cd. effetti orizzontali ) , qualora manchi lo strumento di attuazione dello Stato, potendo in tal caso essere invocata nei confronti dello Stato stesso ( efficacia cd. verticale ), così come precisato dalla Corte di Giustizia CE (95/2275, conf CGCE 26/2/1986, causa 152/84) .

Nei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno la Corte Costituzionale giudica sia della legge di esecuzione del Trattato ( in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento e ai diritti inalienabili dell’uomo ), sia delle leggi nazionali ( che si assumano così illegittime in quanto dirette ad impedire l’osservanza dei principii fondamentali del Trattato( C . COST . 84/17,conf. C.COST. 73/183, 88/11146, CC.2000/190 = ove si precisa che il giudice nazionale nell’interpretare una norma di diritto interno deve privilegiare, tra le diverse interpretazioni possibili, quella conforme alla normativa comunitaria , per evitare che lo Stato italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi comunitari=).

Nel caso in cui la questione di costituzionalità di una disposizione di legge sia fondata su un problema di interpretazione di una norma comunitaria , è necessario che il contenuto della norma in parola sia definito secondo le regole dettate dall’ordinamento comunitario attraverso il necessario previo invio da parte del giudice rimettente alla Corte di giustizia CE (C.COST.96/319 , conf. , 2002/85 , 98/109 , 98/108 ) .

Vanno restituite al giudice remittente gli atti relativi alla questione sollevata in quanto viene allegata a presupposto della censura di costituzionalità una norma sulla cui effettiva portata mancano precedenti puntuali , perchè esso giudice adisca la Corte di giustizia della Comunità europea- alla quale sola è demandata l’interpretazione con forza vincolante per tutti gli Stati membri di quella normativa - affinchè individui in modo compiuto e definitivo, e con carattere di certezza ed affidabilità, il contenuto delle norme espresse dalle disposizioni comunitarie .

Alla Corte Costituzionale infatti - ferma la possibilità del controllo per violazione di principii fondamentali e dei diritti inviolabili della persona- non compete fornire interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per sè di “ chiara evidenza”, nè di adire il giudice comunitario, non potendosi assimilare alla “ giurisdizione nazionale”, cui si riferisce l’art.177 del Trattato istitutivo della CEE, il giudice delle leggi che, in funzione di suprema garanzia della Repubblica , non è incluso tra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano ( C.COST.,95/536 );

il principio affermato dalla Corte Costituzionale (C.COST.84/170), secondo cui l’eventuale conflitto tra norme comunitarie e norme nazionali , sia anteriori che successive , deve essere risolto dal giudice nazionale non promuovendo giudizio di legittimità costituzionale, ma disapplicando quest’ultime, tutte le volte che la normativa comunitaria soddisfi il requisito dell’immediata applicabilità, vale, non solo per la disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante regolamenti, ma, anche, per le statuizioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia delle Comunità europee (C.COST . 85/113).

Ciò si appunta , altresì, per ogni altra sentenza del giudice comunitario, la quale , nell’applicare od interpretare una norma comunitaria, dotata di effetti diretti, risulti comunque dichiarativa del diritto comunitario (C.COST., 89/389, 91/168 , ove di parla di “ disapplicazione “ e di “ non applicazione” della norma interna contrastante con una normativa comunitaria “self executing “ ,ed inoltre C.COST., 95/249 , ove si distingue tra “ abrogazione “ e “ non applicazione “ (CC .99/189/, CC.85/113 ) .

Va esplicitato come – mancando una scala gerarchica interpretativi tra i metodi precedentemente additati= fatto chiaro che il primato dell’interpretazione letterale (C.COST.,91/9279), è inteso adottando nel solo caso in sia incontrastato e incontrastabile il decisorio “ de quo” (CC. SU , 1982/4400, CC.88/6907 , con riferimento alla L . n . 604/66 , sui licenziamenti individuali , da parte della l. 1204/71 , sulla tutela delle lavoratrici madri e della C.C. 93/11359 ), che rinserra quest’opzione interpretativa , nel solo ambito in cui la chiarezza della norma sia evincibile “ prima facie”= si realizzi , sovente , una sorta di eclettismo metodologico , con pluralità di combinazioni interpretative e con assegnazione della preferenza del significato tecnico su quello linguistico generale .

Va sottolineato come , solo i casi di indicazione di entità individuali , ovvero di numeri , ossia i casi in cui emerge , dal senso letterale , un risultato preciso ed univoco, dispensino il Giudicante dall’operazione interpretativa, proprio perchè le norme , anche quando assumono un preciso significato, non necessariamente assumono la stessa valenza attraverso l’applicazione di esso in sentenza .

Secondo il canone “obiettivo-teleologico” la determinazione del contenuto della norma si connette , in definitiva , al fine che si può ritenere , il legislatore , impersonalmente , e , non , storicamente inteso , voglia perseguire con essa . Più ampiamente , si deve , pur , guardare al complesso dei fini perseguiti dall’insieme delle leggi ( C . COST. , 1984/26 , CC . 1996/3495 , Corte dei Conti Sez . Contr . , 1996/145 ) .

In tale operazione si deve tener presente che la rappresentazione del fine della singola legge o dei fini dell’insieme delle leggi , può , appunto , in concreto , non essere stato presente alla mente del legislatore , storicamente inteso : bisogna , quindi , fare riferimento agli scopi che , ragionevolmente , alla stregua dei valori espressi dalla legge e dall’ordinamento nel suo insieme in quel determinato momento storico ( ossia quello in cui viene condotta l’operazione interpretativa ) , si debbano intendere perseguibili e perseguiti.

Il criterio del riferimento allo scopo perseguito dal legislatore viene dunque a coincidere con i criteri più propriamente oggi definiti come obiettivo-teleologici , per tali intendendosi , appunto, il riferimento al senso immanente a determinati settori o istituti dell’ordinamento giuridico o all’ordinamento giuridico in generale , venendo in rilievo i principii fondamentali dell’ordinamento ed in particolare quelli di rango costituzionale , in principi etico-giuridici in genere (C. COST., 98/140 , T. A. R. PUGLIA SEZ. LECCE , 1992/461 ) , ricordando il valore che si traduce nell’obbligo di valutare in modo uguale le situazione equivalenti , e , quello per cui , se tra più significati possibili uno solo è conforme ai principii costituzionali, a questo va data la preferenza (CdS , VI , 1992849, Corte dei Conti Sez . Contr., 1995/60 , T.A.R. SARDEGNA 1994/1755 ) .

La riprova del pregio di siffatta interpretazione , in chiave di giurisprudenza comunitaria , traggasi dalla sentenza Corte Giustizia 9 gennaio 2003, causa C-257/00 , Nani Givane e al. In merito al problema se , nella controversia in tema di permesso di soggiorno, la Signora Givane e i suoi tre figli potessero invocare il regolamento n.1251/70 a fondamento della loro richiesta di un permesso di soggiorno; tale regolamento definisce le condizioni alle quali un lavoratore e i membri della sua famiglia possono rimanere a condizione:

a) che il lavoratore , al momento del decesso, abbia risieduto ininterrottamente nel territorio di tale Stato membro da almeno due anni;

b) oppure che il decesso sia dovuto ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale ;

c) oppure che il coniuge superstite sia cittadino dello Stato di residenza o abbia perduto la cittadinanza di tale Stato in seguito al matrimonio col detto lavoratore” .

L’equivoco nasceva dal significato letterale attribuito da ciascuna lingua alla locuzione “ da almeno due anni”.

Nella versione francese “ depuisaumoins 2 années “ , in quella tedesca “ seitmindestens 2 Jahren “, in quella italiana:” da almeno due anni”; vale a dire nella maggioranza delle versioni linguistiche esistenti alla data dell’emanazione del regolamento stesso , implica che il periodo di residenza ininterrotta di due anni debba proseguire sino alla data del decesso del lavoratore.

Il tenore di altre versioni linguistiche di tale disposizione è più vago: in quella spagnola “ un minimos de dos anos “, in quella danese :” i mindst 2 aar “,in quella greca “ epì duo toulaxiston ete “, in quella inglese:” for at least two years”, in quella olandese :” gedurende ten minste 2 jaren”, in quella portoghese :“ pelo menos 2 anos” , in quella finlandese:” vahintaan kaksi vuotta “, in quella svedese:” under minst tva ar “ :

In ciascuna lingua di questo questo secondo gruppo la definizione in questione appare piuttosto neutra quanto al nesso cronologico tra la residenza ininterrotta di due anni e la data del decesso del lavoratore.

Perciò la Corte europea con sentenza 2 aprile 1998, causa C-296/95 , EMU Tabac e a. Racc. , p.I-1605, ha affermato che a tutte le versioni linguistiche , in via di principio , va riconosciuto lo stesso valore , che non può variare in rapporto al numero dei cittadini degli Stati membri in cui è parlata una certa lingua .

Per tale motivo (sentt. 27 ottobre 1977, causa 30/77, Boucherau , Racc. p.1999, punto 14-; 7 dicembre 1995,causa C-449/93,Rochfon, Racc.p.I-4291, punto 28; 17 dicembre 1998, causa C-236/97, Codan , Racc. p.I-8679, punto 28 , e 13 aprile 2000, causa C-420/98, W.N. , Racc. p.I-2847, punto 21) , è stato affermato che le varie versioni linguistiche di una disposizione comunitaria vanno interpretate in modo uniforme, e, pertanto, in caso di divergenza tra le versioni stesse , la disposizione in parola dev’essere interpretata in funzione dell’economia generale e delle finalità della normativa di cui essa fa parte , per cui la locuzione “ da almeno due anni” , deve essere ricollocata nel suo contesto ed interpretata in funzione della “ ratio” e delle finalità della disposizione di cui trattasi, comparandola con l’art.3 del regolamento n.1251/70 in assonanza con il successivo art.4,n.1 .

Perciò l’interpretazione corretta è che il periodo di due anni:

§ deve essere immediatamente precedente il decesso del lavoratore, in base all’economia generale dell’art.3 perché diversamente se tale periodo potesse cessare in un qualsiasi momento del lasso di tempo trascorso dal lavoratore nello Stato membro ospitante, sarebbe superfluo operare una siffatta connessione con il detto momento;

§§ deve essere ininterrotto;

§§§ è compatibile con gli obiettivi dell’art.48 del Trattato CE.

Il criterio dello scopo della norma è stato, altresì , applicato :

nella sentenza North Kerry Milk del 1977 (Causa 80/76, sentenza del 3 marzo 1977,North Nerry Milk Products LTD contro Ministero per l’agricoltura e la pesca ( domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice Irlandese): ivi si dibatteva sull’interpretazione dell’art.6 del Regolamento n.1134 del 30 luglio 1969, che fissava le norme di applicazione del precedente Regolamento n.653 del 1968, relativo alle condizioni di modifica del valore dell’unità di conto utilizzata per la politica agraria comune .

Più nello specifico, si rilevava un’apparente discordanza tra la versione inglese dell’art.6 e le versioni dello stesso articolo nelle altre lingue ufficiali . L’espressione “..the event ...in which .. the amount becomes due and payable” , veniva resa in francese con “ le fait gènèrateur de la crèance “ e con espressioni corrispondenti a quella francese nelle altre lingue.

Così la Commissione aveva riconosciuto la discordanza basandosi sui suggerimenti dell’Avvocato Generale Capotorti, facendo riferimento al caso Van Der Vecht, ove si precisava che, in caso di dubbio sull’interpretazione di una delle versioni linguistiche , si dovesse fare riferimento alle versioni esistenti nelle altre lingue della Comunità.

A seguito di tale confronto , l’espressione “ due and payable” avrebbe dovuto essere interpretata alla luce delle altre versioni e quindi perdere in sostanza il suo significato comune.

In detta sentenza , tuttavia , la Corte fece propria la preoccupazione che l’eliminazione delle discordanze linguistiche conseguita per questa strada, potesse , almeno in determinati casi, risultare contraria al principio della certezza del diritto: circostanza che era destinata ad avverarsi, ad esempio, allorquando una o più versioni di una certa norma finissero per essere interpretate in modo non corrispondente al senso normale e naturale delle parole;

Così la Corte ritenne che fosse preferibile cercare di pervenire ad una soluzione dei punti controversi senza dare la preferenza all’una o all’altra versione ed esaminando invece il contesto e lo scopo della norma ;

un altro esempio pertiene il caso Regina c. Pierre Boucherau (sentenza Corte 27 ottobre 1977) , sempre a seguito di un rinvio pregiudiziale proveniente da una corte di “ common law ” ; la controversia era insorta circa l’interpretazione da attribuire al termine “ measures” , “ provvedimento” , ai sensi dell’art.3, nn.1 e 2 della Direttiva n.64/221, concernente le limitazioni alla libera circolazione per motivi di ordine pubblico .

Il Governo britannico sosteneva che “ dall’identità del termine inglese “ measures” , usato tanto nell’art.2 quanto nell’art.3, deve inferirsi ch’esso ha necessariamente lo stesso significato in entrambi i casi, e che dal preambolo della direttiva emerge che , nell’art.2, detto termine riguarda esclusivamente le disposizioni legislative,regolamentari e amministrative e non si riferisce, quindi, agli atti di organi giurisdizionali; dal raffronto con le altre versioni linguistiche , la Corte rilevò , però , che nei testi in questione, ad eccezione di quello italiano, i termini ricorrenti nei due articoli erano, volta a volta diversi, cosicchè dalla terminologia usata non potevano ricavarsi indicazioni specifiche sul piano giuridico .

Anche in questo caso la Corte ebbe a ribadire che “ le varie versioni linguistiche di un testo comunitario vanno interpretate in modo uniforme e perciò, in caso di divergenza fra le versioni stesse, la disposizione in questione dev’essere intesa in funzione del sistema e delle finalità della normativa di cui essa fa parte ; la direttiva n.64/221 , che coordina , per quanto riguarda i cittadini degli altri Stati membri, i vari regimi nazionali in materia di polizia degli stranieri, mira a tutelare detti cittadini contro qualsiasi atto, inerente all’esercizio dei poteri,derivanti dalla deroga relativa alle limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, che vada oltre quanto è necessario a giustificare un’eccezione al principio fondamentale della libera circolazione delle persone .” .

Altro esempio riguardava la causa 11/76, sentenza della Corte del 7 febbraio 1979, Governo dei Paesi Bassi contro Commissione delle Comunità Europee = analoga controversia , con analoghe argomentazioni sviluppate dalla Corte si rinviene in Causa 18/76, sentenza della Corte del 7 febbraio 1979, Governo della Repubblica Federale di Germania contro Commissione delle Comunità Europee = per verificare l’effettiva portata di una previsione normativa, ove fu tenuto fermo il principio del contesto di riferimento della norma.

In tale causa il ricorso era stato presentato dai Paesi Bassi contro le decisioni adottate dalla Commissione in relazione alla liquidazione dei conti presentati dal Regno dei Paesi Bassi per le spese degli esercizi 1971 e 1972 finanziate dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (FEAOG), aveva per oggetto l’interpretazione dell’art.8 del Regolamento del Consiglio 21 aprile 1970, n.729, relativo al finanziamento della politica agricola comune = pubblicato in GU del 14 aprile 1970,p.13= .

La norma in questione stabiliva che “ in mancanza di recupero totale, le conseguenze finanziarie delle irregolarità o negligenze sono sopportate dalla Comunità , salvo quelle risultanti da irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri. “ ; il Governo olandese sosteneva che tale norma dovesse essere intesa nel senso che le conseguenze dell’inesatta applicazione di norme comunitarie da parte di un’autorità nazionale dovessero essere sopportate dalla Comunità in tutti i casi in cui l’inesattezza non fosse imputabile agli organi amministrativi o agli enti dello Stato membro in questione, ma derivasse invece da un’interpretazione che , per quanto obiettivamente erronea, fosse stata adottata in buona fede .

Gli Stati membri avrebbero dovuto invece sopportare le conseguenze finanziarie soltanto nei casi in cui l’inesatta applicazione di una norma comunitaria fosse dovuta al comportamento illecito di un organo o di un ente nazionale .La Commissione , al contrario,riteneva che l’art.8,n.2 dovesse considerarsi irrilevante ai fini della soluzione della controversia, riguardando tale norma solo le irregolarità e le negligenze imputabili ai singoli in quanto beneficiari delle spese del FEAOG, prendendo in considerazione quelle imputabili agli Stati membri solamente nell’ipotesi eccezionale che irregolarità o negligenze siano state commesse da pubblici dipendenti che agiscano violando i propri doveri di ufficio .

La Corte , analizzando il testo dell’art.8 nelle sue varie versioni linguistiche, considerò che “..alla luce della sua genesi e dei lavori preparatori ( elementi sui quali hanno basato i loro argomenti nel corso del procedimento)” risultasse sotto vari aspetti ”troppo contradditorio ed equivoco per poter fornire la soluzioni delle questioni controverse.”

Essendo la comparazione tra le diverse versioni linguistiche inutile ai fini dell’identificazione dell’esatta portata della norma , la Corte dunque concluse che ai fini dell’interpretazione della disposizione di cui all’art.8 fosse “ opportuno considerare il contesto entro il quale essa si colloca e le finalità perseguite dalla relativa disciplina” e la stessa “ ratio” sul regolamento in questione, ossia decise che l’applicazione obiettivamente erronea del diritto comunitario, basata sull’interpretazione adottata in buona fede dalle autorità nazionali, non potesse essere disciplinata dall’art.8 del Regolamento 729/70, ma andasse invece valutata in relazione alle disposizioni generali degli articoli 2 e 3 dello stesso Regolamento, secondo i quali sono finanziate dal FEAOG le restituzioni concesse e gli interventi effettuati “ secondo norme comunitarie” nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli .

Queste disposizioni permettevano quindi alla Commissione di porre a carico del FEAOG solamente gli importi corrisposti ih conformità alle norme emanate per i vari settori dell’agricoltura, lasciando a carico degli Stati membri qualsiasi altro importo, ed in particolare quelli che le autorità nazionali avessero a torto ritenuto di poter pagare nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati.

Altro esempio ritrovasi in caso Klaius Mecke et Co, contro Hauptzollant Bremen-Ost ( causa 816/79 , del 16 ottobre 1980)= domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht di Brema = :la Corte affrontò un caso di interpretazione della tariffa doganale comune , ove considerò di nuovo il contesto normativo in cui la disposizione in analisi si collocava, senza attribuire alla comparazione tra le diverse lingue ufficiali alcuno specifico rilievo circa l’esatta identificazione di una voce di spesa ; la vicenda riguardava una controversia su una partita di cascami di fibre tessili sintetiche ( tranciate in frammenti di 6-7 cm ) .

In tale vertenza ,da un lato l’importato dichiarava la merce come “ borre di cimatura di fibre sintetiche”, di cui alla voce 59.01 B I della Tariffa doganale, soggette ad un dazio convenzionale del 4%, dall’altro l’Ufficio doganale riteneva che si trattasse di fibre tessili sintetiche di cui alla voce 56.01 A della medesima Tariffa, sulle quali gravava invece un dazio convenzionale del 9% . Nel corso del procedimento davanti alla Corte , l’attrice aveva insistito sul fatto che la voce 56.01 A riguardasse solo le fibre tessili che potevano venir utilizzate per la filatura, e non già i cascami cortissimi come quelli da lei importati; da un confronto tra le varie versioni linguistiche delle voci in questione, risultò che le difficoltà interpretative in cui si era imbattuto il giudice nazionale derivavano sopratutto dall’importazione della versione tedesca della Tariffa .

La Corte ritenne dunque di dover tener contro simultaneamente di tutte le versioni nelle rispettive lingue ufficiali ; il raffronto delle diverse versioni, dimostrò solo che l’espressione impiegata in tedesco faceva richiamo al procedimento della filatura (“Spinnfasern “ ) . Tuttavia , la stessa espressione tedesca si presentava come ambivalente, in quanto era potenzialmente riferibile sia alle fibre mediante filatura, così come alle fibre destinate alla filatura .

Si concluse quindi che l’interpretazione proposta dall’attrice, mirante a riferire la voce 56.01 alle sole fibre con finalità di filatura, non potesse essere giustificata alla luce delle altre versioni linguistiche .

Passando ad esaminare il contenuto dell’altra voce in questione della Tariffa la 59.01 B I nelle diverse versioni , la Corte osservò che tra di loro erano disomogenee : quattro ( versione tedesca, francese, italiana , olandese) facevano ricorso ad una sola nozione, pur ponendo l’accento sul procedimento di tosatura; le versioni inglese e danese contenevano invece due nozioni accostate, relative al solo aspetto esterno del prodotto e senza alcun riferimento al procedimento di lavorazione ; la versione tedesca , infine , combinava in una sola parola composta sia l’operazione di tosatura sia l’aspetto polveroso del prodotto.

A tal proposito la Corte , vedendo come la voce 59.01 B I non fosse univoca, per evitare divergenze, ritenne essenziale verificare quale fosse il contesto normativo di riferimento , facendo ricorso alle Note esplicative del Consiglio di Cooperazione doganale, dalle quali si evinse che le varie espressioni ella voce 59.01 B I fossero solo la descrizione , più o meno approssimativa , di un complesso di fibre che poteva anche ricomprendere i cascami tessili come quelli su cui verteva la controversia .

Ancora un esempio traggasi dal caso , Causa 136/80, sentenza del 17 settembre 1981 , Hudig en Piters BV contro Ministero per l’Agricoltura e la Pesca = domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal College van BeroepvorrHetBedrijfsleven =, dove l’analisi condotta sull’art.35,1 comma, del Regolamento del Consiglio n.542/69 portò la Corte ad un confronto tra le diverse versioni linguistiche per appurare se l’espressione olandese “ degene die zekerheidheeftgesteld” ( “ colui che ha prestato la garanzia” ) dovesse comprendere anche l’obbligato principale ai sensi di detta normativa .

Vista l’ambivalenza che avrebbe potuto presentare l’espressione: “ colui che ha prestato garanzia” , la Corte suggerì l’interpretazione di quell’articolo “ in funzione sia degli scopi che della struttura generale della normativa di cui fa parte “ .

Altro esempio è a trarsi da Causa 9/79, sentenza della Corte ( prima sezione) del 12 luglio 1979, Mariannne Koschniske in Woersdorfer contro Raadvam Arbeid = domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van Berope di Zwolle-Paesi Bassi=: la controversia verteva sull’interpretazione dell’art.10,n.1, lett.b) del Regolamento del Consiglio del 21 marzo 1972,n.574 (GUL74, pag.1), che stabiliva le modalità di attuazione del Regolamento n.1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità , poi modificato dai Regolamenti del Consiglio nn.878/73 (GU 1973/mn.L86 , pag.1 e 1209/76 , GU 1976,n. L138,pag.1 .

In particolare la versione olandese della disposizione in questione parlava di “ moglie” , piuttosto che di “ coniuge” , così come facevano tutte le altre versioni linguistiche del medesimo Regolamento .

Se si fosse considerata la sola versione olandese, si sarebbe potuto credere che il termine impiegato si riferisse solo in via esclusiva ad una persona di esso femminile.

Tuttavia , data la necessità che i Regolamenti comunitari vengano interpretati in modo uniforme , la Corte ribadì che il testo della disposizione non potesse essere considerato isolatamente , bensì interpretato ed applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali, da cui risulta che impiegano tutte termini che si riferiscono tanto ai lavoratori che alle lavoratrici “ aegtefaellen” , “ ehegatte” , “ spouse” , “ conjoint” “ coniuge”.

Solo in un secondo tempo la Corte si interrogava se tale interpretazione potesse essere suffragata alla luce dello scopo della disposizione e del principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile.

Infine , nondimeno , si riafferma il canone interpretativo “ secondo lo scopo “ in sede di decisione sul caso Oceano Gruppo Editorial e Salvat Editores SA c. RocioMurciano Quintero e altri, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, del 27 giugno 2000, ove la Corte si è nuovamente trovata ad affrontare la questione dell’efficacia di una direttiva tra persone private: due case editrici di Barcellona, Oceano Editorial e SalvatEditores concludevano tra il 1995 e il 1996 alcuni contratti di vendita di enciclopedie con consumatori di nazionalità spagnola , ma residenti in regioni diverse .

Tra le clausole del contratto di vendita era prevista una clausola di competenza esclusiva del foro del venditore in caso di controversia , clausola da considerare vessatoria e quindi nulla tanto secondo la direttiva n.93/13 quanto secondo la Ley n.7/1998 che ha dato attuazione alla direttiva; successivamente gli acquirenti rifiutavano il pagamento delle enciclopedie e venivano citati dalle imprese venditrici avanti al Tribunale di Barcellona.

In detta controversia, i consumatori non si costituivano in giudizio, non eccependo, così , la clausola di vessatorietà , ed il Tribunale , persuaso che l’ordinamento spagnolo non consentisse al Tribunale di rilevare di ufficio la vessatorietà della clausola, poneva il problema della contrarietà dell’enunciato legislativo al diritto comunitario, e, quindi, se il Tribunale adito dovesse di ufficio declinare la propria competenza .

La Corte di Giustizia non condivise la prassi dell’ordinamento spagnolo che non ammette la rilevabilità di ufficio della vessatorietà di una clausola, ed affermò , di contro , che “ la tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva...concernente le clausole vessatorie sui contratti stipulati con i consumatori, comporta che il giudice nazionale, nell’esaminare l’ammissibilità di un’istanza propostagli, possa valutare d’ufficio l’illiceità di una clausola del contratto di cui è causa “ , infatti bell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che di tratti di norme precedenti o successive alla direttiva , il giudice nazionale “ deve interpretarle quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima . “ .

Partendo dalle disposizioni contenute nella CEDU, la giurisprudenza è giunta all’elaborazione di un “diritto interpretato” in tema di diritti fondamentali; si è avuto così, da parte degli Stati, l’assunzione da parte della Corte di Strasburgo dell’onere di procedere all’elaborazione di una sorta di “jus commune” dei diritti umani, attraverso l’interpretazione e l’applicazione del testo scritto: ciò ha indotto parte della dottrina ad individuare in “prudenza” e “progressività” le parole chiave della CEDU.

Pertanto la scelta del metodo d’interpretazione da applicare non sia mai tecnica o neutrale, ma dipenda costantemente da considerazioni di natura metagiuridica.


La regola base attribuisce dunque primazia al modello “testuale” od “oggettivo”, in nome del quale è necessario privilegiare in primo luogo il senso ordinario da attribuire alle parole scritte del trattato nel loro contesto; il senso comune da conferire alle parole rappresenta un punto di partenza imprescindibile dell’attività interpretativa.

Bisogna, per forza ,superare il mero dato letterale facendo riferimento al contesto, all’oggetto, allo scopo o ai mezzi complementari di applicazione, i quali hanno il compito di confortare l’assunto costì raggiunto.

L’art 31 si riporta al contesto normativo, che viene a svolgere un ruolo fondamentale nella giurisprudenza della Corte. L’analisi del contesto è compresente nella più parte delle statuizioni degli organi giurisdizionali di Strasburgo, i quali sono soliti accostarsi ad altri articoli della Convenzione:per esempio laddove parlasi di “magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giurisdizionali” ai sensi dell’art. 5 CEDU, la Corte esercita un raffronto con le nozioni di “giudice” e di “ tribunale” contenute nell’art. 6.

Frequenti sono anche i casi in cui la Corte preleva il tessuto normativo da altri testi internazionali, quali la Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo, il Patto Internazionale del 1966 relativo ai diritti civili e politici e lo Statuto del Consiglio d’Europa.

L’art. 31 introduce invoca l’oggetto e dello scopo del trattato, in modo che gli stessi assumono un’importanza peculiare poiché legittimano l’utilizzo, da parte dell’interprete, del metodo “teleologico” o “logico”.

Invero proprio nell’ambito delle convenzioni in materia di diritti dell’uomo il prefato metodo ha avuto ampia applicazione: laggiù si stabilisce che esse debbano essere interpretate conformemente al loro scopo di tutelare l’individuo e che quindi, qualora siano plausibili più interpretazioni, occorre scegliere quella che reca maggior vantaggio all’interessato. Il metodo teleologico ha trovato grande applicazione anche in merito alla CEDU, come nel caso Soering, nel 1987.

Un’applicazione emblematica del principio teleologico si ebbe nel caso Marckx c. Belgio del 13 giugno 1979, in punto diritto di famiglia; la Corte si rapportò al preambolo della CEDU, laddove enuncia come uno degli scopi del Consiglio d’Europa sia quello di ricercare la collaborazione tra i Paesi membri e come ciò implichi la necessità di edificare un diritto europeo uniforme: “ . In base a tali argomentazioni, la Corte condannò quindi il Belgio che non aveva provveduto a riformare in senso comunitario il proprio diritto di famiglia, diversamente da quanto avvenuto in Francia, Italia e nei Paesi Bassi: lo scopo di unificazione imponeva infatti al Belgio di adeguarsi alle innovazioni introdotte dagli altri Stati.”.

È evidente come, in virtù di un’interpretazione teleologica, si sia pervenuti ad un’applicazione della CEDU di chiara matrice evolutiva. Gli articoli 32 e 33 della Convenzione di Vienna regolano i mezzi complementari d’interpretazione, il cui impiego è permesso solo quando la regola generale non assicuri risultati apprezzabili. Vedasi, ancora, come, facendo leva sul disposto della Convenzione di Vienna, la Commissione e la Corte abbiano dato corpo ad una propria prassi interpretativa, che riflette aspetti di spiccata originarietà.

Tra i più importanti principi interpretativi applicati a Strasburgo, è invalso il metodo di di allineamento al canone dell’autonomia: proprio perché le libertà e i diritti garantiti hanno uno specifico significato autonomo, che esula da quello presente all’interno del diritto nazionale dei singoli Stati firmatari, è compito della Corte propendere verso uno “ jus commune” che non può e non deve soggiacere alle singole qualificazioni giuridiche fornite dalle disposizioni nazionali a quelle sancite dalla Convenzione.

La prima applicazione del principio di autonomia si è manifestato in relazione all’art. 6 CEDU: la Corte si è infatti arrogata il compito di stabilire cosa debba intendersi, ai sensi di tale articolo, per diritto civile e per accusa penale. Con riferimento alla nozione di “diritto civile”, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in controversie che coinvolgevano l’Italia in materia di espropriazione e di vincoli urbanistici: nel nostro Paese, infatti, tali materie sono riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo; la Corte ha quindi stabilito che tale scelta, pur essendo consentita poiché rientra nella discrezionalità di cui uno Stato può legittimamente far conto nell’orbita del diritto processuale, non può comunque misconoscere le garanzie stabilite a favore dell’individuo dall’art. 6 CEDU, le quali devono essere rispettate anche dai giudici amministrativi.

Nell’ambito penale, interessante è quanto affermato nella sentenza Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio del 24 ottobre 1983: i protagonisti erano tre medici di nazionalità belga, i quali erano stati radiati dall’albo e sospesi dall’esercizio della professione perché ritenuti colpevoli di aver commesso fatti illeciti. La Corte riconobbe nell’espulsione di un medico dall’albo non già un mero e provvedimento disciplinare, come affermava lo Stato belga, bensì un’autentica a sanzione penale, anche in ragione delle pesanti conseguenze arrecate alla vita quotidiana dei tre protagonisti della vicenda.


Si stabilì quindi che tale sanzione potesse essere assunta solo in constanza delle garanzie prescritte dall’art. 6. Si veda infine quanto scritto nelle sentenza Konig e Georgiadis, sempre in relazione all’art. 6 CEDU: si trattava, in entrambi i casi, di affermare cosa dovesse intendersi con la locuzione “diritti ed obblighi di carattere civile”, di cui al paragrafo 1 del citato articolo:“ (sentenza Konig, 10 marzo 1980). (sentenza Georgiadis del 29 maggio 1997).


Altro principio fondamentale applicato dalla Corte è quello di effettività, in base a cui si afferma che le disposizioni della CEDU debbano essere applicate in modo da renderle suscettive di effetti pratici nella singola fattispecie .

Si esalta quaggiù lo spirito innovativo, che oltrepassa la nozione formale per adeguarsi alle necessità della realtà. Significative le affermazioni della Corte durante le eccezioni preliminari relative al caso Loizidou del 23 marzo 1995: “. Da ricordare è poi il principio del margine di apprezzamento agli Stati nazionali. Esso si basa su un concetto fondamentale per comprendere il reale significato della Convenzione: i diritti e le libertà fondamentali all’individuo devono essere sempre intesi come diritti e libertà di un uomo all’interno di una collettività; deve quindi esserci sempre un equilibrio tra il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e la salvaguardia dell’interesse generale della comunità. quindi possibile sottoporre la sfera privata di un soggetto ad ingerenze e limiti imposti dalle .

Vieppiù nella sentenza Chorherr del 25 agosto 1993 si legge:”L’esistenza di un simile potere in mano agli Stati viene di norma giustificata con il fatto che le autorità nazionali hanno una maggiore consapevolezza della realtà quotidiana e locale e siano quindi in grado di valutare le singole situazioni meglio di quanto farebbe un giudice sopranazionale.”.

Significativo a proposito è il seguente paragrafo attinto dalla sentenza Laskey, Jaggard e Brown del 19 febbraio 1997:”

Alla base del margine di apprezzamento vi è dunque un profondo rispetto per l’identità storica, culturale e socio-politica dei singoli Stati membri: il raggiungimento degli obiettivi della CEDU non può mai avvenire a discapito delle realtà locali, né può portare ad ignorare le forti differenze presenti tra Stati.”.

Pertanto è fatto obbligo alla Corte “ garantire, in ragione dell’eterogeneità che caratterizza il continente europeo, una sfera di autonomia alle singole Nazioni, senza che ciò vada a compromettere l’unità europea”, al fine di contemperare il difficile equilibrio tra le necessità locali e il raggiungimento dei fini ultimi della Convenzione.

Così è chiaro come gli articoli della CEDU non debbano essere interpretati con riferimento al contesto storico in cui furono elaborati, ma occorra invece tener conto delle evoluzioni dei costumi e del contesto sociale. Per questo motivo la CEDU finisce per elevarsi a strumento vivente da interpretare ed applicare alla luce delle esigenze della società pluralista contemporanea . Ciò evincesi in campo normativo laddove parlasi di buon costume e di morale pubblica: la moralità in vigore negli anni Cinquanta del XX secolo è, decisamente, superata, pertanto è insostenibile esecrare le condotte che avrebbero scandalizzato cinquant’anni fa.

Bisogna, da ultimo ma non per ultimo, significare come la Corte di Giustizia Europea abbia fatto riferimento al predetto canone ermeneutico nel seguente caso: (Corte CE, Sez. III): Sentenza 31 gennaio 2013, n. C-12/11

«Trasporto aereo – Regolamento (CE) n. 261/2004 – Nozione di “circostanze eccezionali” – Obbligo di prestare assistenza ai passeggeri in caso di cancellazione di un volo per “circostanze eccezionali” – Eruzione vulcanica all’origine della chiusura dello spazio aereo – Eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull»

1) L’articolo 5 del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, deve essere interpretato nel senso che circostanze come la chiusura di una parte dello spazio aereo europeo a seguito dell’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull costituiscono «circostanze eccezionali» ai sensi di tale regolamento, che non esimono i vettori aerei dal loro obbligo di prestare assistenza previsto dagli articoli 5, paragrafo 1, lettera b), e 9 del regolamento n. 261/2004.
2) Gli articoli 5, paragrafo 1, lettera b), e 9 del regolamento n. 261/2004 devono essere interpretati nel senso che, in caso di cancellazione di un volo per «circostanze eccezionali» di durata come quella di cui al procedimento principale, l’obbligo di prestare assistenza ai passeggeri previsto da tali disposizioni deve essere adempiuto e ciò non inficia la validità di tali disposizioni.
Tuttavia, un passeggero può ottenere, a titolo di compensazione pecuniaria per il mancato rispetto da parte del vettore aereo del suo obbligo di prestare assistenza di cui agli articoli 5, paragrafo 1, lettera b), e 9 del regolamento n. 261/2004, soltanto il rimborso delle somme che, alla luce delle circostanze di ciascun caso concreto, risultavano necessarie, appropriate e ragionevoli al fine di ovviare all’omissione del vettore aereo nel prestare assistenza al suddetto passeggero. Tale profilo deve essere valutato dal giudice nazionale.

Altresì, dei princiopiii interpretativi suindicati, sono permeate le seguenti pronuncie:



SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)26 febbraio 2013 

«Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Ambito di applicazione – Articolo 51 – Attuazione del diritto dell’Unione – Repressione di comportamenti lesivi di una risorsa propria dell’Unione – Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Sistema nazionale che comporta due procedimenti distinti, amministrativo e penale, per sanzionare la medesima infrazione – Compatibilità».

Nella causa C 617/10,avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Haparandatingsrätt (Svezia), con decisione del 23 dicembre 2010, pervenuta in cancelleria il 27 dicembre 2010, nel procedimento

Åklagaren

contro

Hans ÅkerbergFransson,

Il sig. Åkerberg Fransson era stato chiamato a comparire il 9 giugno 2009 dinanzi allo Haparanda tingsrätt (tribunale di primo grado di Haparanda), in particolare per rispondere dell’imputazione di frode fiscale aggravata. Egli era accusato di aver fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni fiscali per gli esercizi 2004 e 2005, con conseguente rischio per l’erario di perdere entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»), pari a SEK 319 143 per l’esercizio 2004, di cui SEK 60 000 a titolo dell’IVA, e a SEK 307 633 per l’esercizio 2005, di cui SEK 87 550 al medesimo titolo. Il sig. Åkerberg Fransson era altresì imputato per aver omesso di presentare alcune dichiarazioni relative ai contributi sociali dei datori di lavoro per i periodi di riferimento dei mesi di ottobre 2004 e di ottobre 2005, con conseguente pericolo per gli enti previdenziali di perdere introiti pari a SEK 35 690 e SEK 35 862 rispettivamente. Secondo l’atto di citazione, gli illeciti erano da considerare aggravati, da un lato, per la rilevanza degli importi di cui trattasi e, dall’altro, per il fatto di essere stati compiuti nell’ambito di un’attività criminale abituale su vasta scala.

      Con decisione del 24 maggio 2007, la skatteverket ha inflitto al sig. Åkerberg Fransson, per l’esercizio fiscale 2004, una sovrattassa di SEK 35 542 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di SEK 4 872 a titolo dell’IVA e di SEK 7 138 a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Con la stessa decisione gli ha parimenti inflitto, per l’esercizio fiscale 2005, una sovrattassa di SEK 54 240 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività economica, di SEK 3 255 a titolo dell’IVA e di SEK 7 172 a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Le sovrattasse erano maggiorate di interessi. Esse non sono state oggetto di ricorso dinanzi al giudice amministrativo, essendo il termine a tal fine scaduto il 31 dicembre 2010, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2004, e il 31 dicembre 2011, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2005. La decisione di imposizione delle sovrattasse si fonda sulla stessa comunicazione di dati inesatti che è alla base della descrizione del reato formulata dal Pubblico Ministero nel procedimento penale principale.

 L’ambito di applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

     Tale articolo della Carta conferma pertanto la giurisprudenza della Corte relativa alla misura in cui l’operato degli Stati membri deve conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

      Da una costante giurisprudenza della Corte risulta infatti sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione. Per contro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto (v. segnatamente, in tal senso, sentenze del 18 giugno 1991, ERT, C 260/89, Racc. pag. I 2925, punto 42; del 29 maggio 1997, Kremzow, C 299/95, Racc. pag. I 2629, punto 15; del 18 dicembre 1997, Annibaldi, C 309/96, Racc. pag. I 7493, punto 13; del 22 ottobre 2002, Roquette Frères, C 94/00, Racc. pag. I 9011, punto 25; del 18 dicembre 2008, Sopropé, C 349/07, Racc. pag. I 10369, punto 34; del 15 novembre 2011, Dereci e a., C 256/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 72, nonché del 7 giugno 2012, Vinkov, C 27/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 58).

      Tale definizione dell’ambito di applicazione dei diritti fondamentali dell’Unione è confermata dalle spiegazioni relative all’articolo 51 della Carta, le quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, debbono essere prese in considerazione per l’interpretazione di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C 279/09, Racc. pag. I 13849, punto 32). Secondo tali spiegazioni, «l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per gli Stati membri soltanto quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione».

      Di conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

      Ove, per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (v., in tal senso, ordinanza del 12 luglio 2012, Currà e a., C 466/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).l

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di imposta sul valore aggiunto, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale.

2)      Il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale.

Il diritto dell’Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte di giustizia dell’Unione europea, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima.

Di altrettanta importanza è la decisione del 05/11/2012 della Corte di Giustizia UE: legittima ingiunzione a un provider di fornire recapito utilizzatore indirizzo IP per violazione diritto d'autore audiolibri Diritto d’autore e diritti connessi – Trattamento di dati via Internet – Lesione di un diritto esclusivo – Audiolibri resi accessibili per mezzo di un server FTP via Internet tramite un recapito IP fornito dall’operatore Internet – Ingiunzione rivolta all’operatore Internet di fornire il nominativo ed il recapito dell’utilizzatore dell’indirizzo IP.  

 


Sentenza della Corte (Terza Sezione),Nella causa C 461/10,  

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dallo Högstadomstolen (Svezia), con decisione del 25 agosto 2010, pervenuta in cancelleria il 20 settembre 2010, nella causa 

Bonnier Audio AB, 

Earbooks AB, 

NorstedtsFörlagsgrupp AB, 

Piratförlaget AB, 

Storyside AB 

contro 

Perfect Communication Sweden AB,

La Corte ha tuttavia aggiunto che, nella trasposizione, segnatamente, delle direttive 2002/58 e 2004/48, gli Stati membri devono avere cura di fondarsi su un’interpretazione delle direttive medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento di tali direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a dette direttive, bensì anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i summenzionati diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione, quale, ad esempio, il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza Promusicae, cit. supra, punto 68, e ordinanza LSG-Gesellschaftzur Wahrnehmung von Leistungsschutzrechten, cit. supra, punto 28). 

 

La direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE, dev’essere interpretata nel senso che non osta all’applicazione di una normativa nazionale, istituita sulla base dell’articolo 8 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, la quale, ai fini dell’identificazione di un abbonato a Internet o di un utente Internet, consenta di ingiungere ad un operatore Internet di comunicare al titolare di un diritto di autore ovvero al suo avente causa l’identità dell’abbonato al quale sia stato attribuito un indirizzo IP (protocollo Internet) che sia servito ai fini della violazione di tale diritto, atteso che tale normativa non ricade nella sfera di applicazione rationemateriae della direttiva 2006/24. 

Resta irrilevante, nella causa principale, la circostanza che lo Stato membro interessato non abbia ancora provveduto alla trasposizione della direttiva 2006/24 malgrado la scadenza del termine a tal fine previsto. 

Le direttive 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), e 2004/48 devono essere interpretate nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto della causa principale, nella parte in cui tale normativa consente al giudice nazionale, dinanzi al quale sia stata proposta, da parte di un soggetto legittimato ad agire, domanda di ingiunzione di comunicare dati di carattere personale, di ponderare, in funzione delle circostanze della specie e tenuto debitamente conto delle esigenze risultanti dal principio di proporzionalità, i contrapposti interessi in gioco. 

Così pure vedasi in altra decisione: Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 15 ottobre 2009. Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening contro Stockholms kommun genom dess marknämnd.


Domanda di pronuncia pregiudiziale: Högsta domstolen - Svezia.

Direttiva 85/337/CEE - Partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale - Diritto di intentare un ricorso contro le decisioni di autorizzazione di progetti che possono avere un notevole impatto sull’ambiente. Causa C-263/08.


La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE (GU L 156, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva 85/337»).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (associazione per la tutela dell’ambiente di Djurgården-Lilla Värtan; in prosieguo: il «Miljöskyddsförening») e la Stockholm skommun genomdess marknämnd (comune di Stoccolma; in prosieguo: la «Stockholmskommun»).
 la necessità di un’interpretazione del genere esige che, in caso di divergenza tra queste varie versioni linguistiche, la disposizione in questione venga intesa in funzione del sistema e delle finalità della normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza 7 dicembre 1995, causa C-449/93, Rockfon, Racc. pag. I-4291, punto 28).

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1) Un progetto come quello in esame nella causa principale, riguardante il drenaggio delle acque infiltrate in un tunnel che accoglie cavi elettrici e l’introduzione di acqua nel suolo o nella roccia al fine di compensare un eventuale abbassamento del livello delle acque freatiche nonché la realizzazione e la manutenzione di impianti per il drenaggio e l’introduzione di acqua, rientra nel punto 10, lett. l), dell’allegato II della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, a prescindere dalla destinazione finale delle acque freatiche e, in particolare, indipendentemente dal fatto che esse facciano oggetto o meno di un successivo utilizzo.
2) I membri del pubblico interessato, a norma degli artt. 1, n. 2, e 10 bis della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, devono poter impugnare la decisione con cui un organo giurisdizionale, appartenente all’organizzazione giudiziaria di uno Stato membro, si è pronunciato in merito ad una domanda di autorizzazione di un progetto, a prescindere dal ruolo che hanno potuto svolgere nell’istruzione di detta domanda prendendo parte al procedimento dinanzi a detto organo e facendo valere la propria posizione in tale occasione.
3) L’art. 10 bis della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, osta a una disposizione di una normativa nazionale che riserva il diritto di esperire un ricorso contro una decisione relativa a un’operazione rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva in parola, come modificata, alle sole associazioni di tutela dell’ambiente con un numero minimo di 2 000 aderenti.
 

Il criterio evolutivo è il principio interpretativo che meglio degli altri può far comprendere l'operazione profondamente innovativa svolta dagli organi giudiziari di Strasburgo in materia di diritto dei diritti umani; la Commissione la Corte hanno deciso come fosse necessario garantire un valore di grande importanza alla protezione della vita umana .

Il criterio “obiettivo-teologico” è il modello migliore per assimilare tra loro lingua e diritto; la lingua giuridica si staglia oltre il documento normativo( coinvolgendo sia i “ discorsi del diritto” sia quelli “sul diritto”, tentando di dipanare la coltre di ambiguità che l’espressione comunicativa alza sul testo legislativo.

Lo studioso del diritto è consapevole che la lingua e la legge conformano l’individuo all’ordine giuridico: per questo fa perno sul canone ermeneutico del fine, dell’obiettivo (che dir si voglia), per rifuggire dalle regole del disordine, sedando il contrasto tra conflitto ed ingiustizia.


DOTT. CLAUDIO CATTANI


Nessun commento:

Posta un commento