La
sentenza del Giudice di Pace di Genova, dott. Claudio Cattani,
travalica per portata strategica il caso concreto che regola, v. RG
affari contenz. n. 6308/2011.
Anche
in questo caso la situazione, paradossale, riguarda un rapporto di
consumo: il consumatore, in veste di turista proprietario di un
appartamento per vacanza in un’isola siciliana, viene a trovarsi
coinvolto a sua insaputa (come parte utilizzatrice) in un contratto
di fornitura di acqua di irrigazione pubblica che sgorga da un
terreno agricolo in prossimità dell’immobile. La parte erogante è
il Concessionario esclusivo del Comune siciliano.
Il
consumatore, residente a Genova, viene a conoscenza dell’obbligo
contrattuale a seguito di una procedura esecutoria per mancato
pagamento di bolletta fornitura idrica integrata. Il Comune isolano
ospitante ritiene che per motivo del soggiorno il consumatore sia
obbligato “in automatico” a corrispondere l’importo della
bolletta di fornitura d’acqua non potabile allo stabile in cui
occasionalmente trascorre la vacanza. Il turista, però, si avvale
della cisterna privata di acqua potabile rifornita da un operatore
privato, quindi non si ritiene obbligato nei confronti del Comune per
una fornitura (pubblica) che non ha mai richiesto e di cui non ha mai
usufruito.
Si
sorvola qui sui risvolti strettamente procedurali, anche se
determinanti nella decisione finale del Giudice. Il consumatore si
oppone all’esecuzione attivata da Equitalia ai sensi dell’art.
615 c.p.c. eccependo l’ “inesistenza” del rapporto
contrattuale; i soggetti interessati Comune ed Equitalia restano
contumaci.
Il
Giudice accoglie la domanda del consumatore basandosi su questi
principi:
-inesistenza
dell’obbligazione, non essendo stato provato alcun vincolo
contrattuale: senza proposta e sua accettazione non vi e’
contratto;
-necessità
di prova scritta del contratto di fornitura;
-mancata
dimostrazione di obbligazione sorta “de facto” nel senso di
fornitura concretamente utilizzata dal consumatore;
--non
si puo’ presumere la conoscenza da parte del consumatore di un
obbligo contrattuale in assenza di prova.
Se
non c’e’ proposta, come si diceva sopra, non c’e’ contratto.
Non solo, ma è evidente anche l’assenza di una “causa concreta”:
lo scopo effettivo, la funzione “operativa”
del presunto contratto; quali interessi esso identifica e soddisfa,
atteso che il consumatore non si avvale, per il suo interesse-bisogno
idrico del fornitore comunale. Pertanto anche sotto questo profilo,
ammessa in pura ipotesi l’esistenza di un contratto, mancando la
causa, lo stesso sarebbe affetto da nullità.
Solo
una parte in posizione dominante può avere il potere di
“prefigurare” un contratto in difetto di proposta, causa,
accettazione, o avvalendosi di mere circostanze di fatto attinenti ad
una situazione “ambientale” nella quale si muove da protagonista.
L’abuso
di posizione dominante si concretizza, in questo caso,
nella
rappresentazione
“ virtuale” del contratto.
La
“virtualizzazione” degli obblighi, o finzione giuridica, tuttavia
non può essere invocata dal concessionario: deve essere
esplicitamente prevista dal legislatore; Il Comune (concedente)
quindi non può invocare la finzione giuridica del contratto di
fornitura auto-sorgente in base alla sola presenza in loco del
turista o alla proprietà della casa di vacanza, poiché non vi è un
provvedimento di legge che glielo consente.
E’
del resto la legge e solo la legge che determina le fattispecie di
obbligo a contrarre, come ben rilevato dalla dottrina.
Si
tratta sotto altro profilo di identificare il meccanismo di acquisto
del servizio: il consumatore, in questo caso, si e’
“auto-organizzato” per soddisfare le proprie esigenze idriche con
cisterna privata e riempimento della stessa con ricorso ad un
fornitore privato.
L’operatore
della gestione idrica integrata, il Comune, non ha dato rilievo a
tale (privata) soluzione: e’ purtroppo naturale che chi gode di
posizione dominante e, come può accadere nel settore delle
utilities, di potere contrattuale monopolistico, o oligopolistico, in
assenza di cultura e/o disattenzione verso i principi della corporate
social responsibility , consideri i rapporti con i consumatori più o
meno alla stregua dei rapporti tra sovrano e sudditi.
Nel
caso di specie il Fornitore-Comune senza alcuna preventiva
comunicazione al consumatore, ha proceduto ad una formazione
“virtuale” del contratto di fornitura, e ha conseguentemente
proceduto, verificatosi il prevedibile “virtuale” inadempimento,
a “concretizzare” la pretesa ricorrendo all’automatismo e alla
formale garanzia dello strumento fiscale della bolletta e della
conseguente iscrizione a ruolo della stessa.
Ottenuta
la “realità” dell’iscrizione a ruolo il gioco era
apparentemente fatto: con tutta probabilità il Giudice avrebbe
respinto la domanda del consumatore considerando prevalente
l’affidabilità del titolo fiscale. Fortunatamente in questo caso
e’ andata diversamente: il Giudice ha fatto il cammino inverso
ricercando la validità dell’obbligazione sostanziale, rivelatasi
inesistente, ed ha provveduto di conseguenza, con soddisfazione del
consumatore-resistente.
Purtroppo
si tratta di comportamenti, derivanti da abuso di posizione
dominante, sempre più frequenti in questa fase di crisi economica e
di ricerca tardiva di ritorno alla redditività o al pareggio di
bilancio di imprese pubbliche o semipubbliche con valutazione
asimmetrica degli interventi correttivi.
I
parametri considerati, infatti, sono di natura esclusivamente
finanziaria: aumento dei ricavi con aumento delle tariffe, vendita di
cespiti, taglio dei costi con licenziamento di dipendenti, etc.
I
parametri di natura economica: valorizzazione degli assets, aumento
produttività, diversificazione, miglioramento della qualità del
servizio, fidelizzazione della Clientela, nuova politica degli
acquisti, sostenibilità ambientale, vengono raramente considerati,
trascurando l’elemento “esterno” basilare: il mantenimento
della fiducia dei propri Clienti-utenti.
E’
palese nel caso di specie il mancato adempimento da parte del Comune,
nella veste di Istituzione concedente l’esercizio della fornitura,
dell’onere di informazione dei cittadini-consumatori.
E’
altrettanto palese che Equitalia, pur nella funzione di Ente di
riscossione, avrebbe dovuto operare con l’osservanza dei criteri
della diligenza professionale e del neminem laedere.
Sotto
altro profilo il codice del consumo, d. lgs. 206/2005, artt. 21 e 25,
nonché la legge sulla responsabiltà amministrativa dell’impresa,
d. lgs 231/2001., quando non si faccia riferimento al più avanzato
diritto europeo, v. applicazione del Principio di nullità di
protezione, già intervengono nel nostro sistema di diritto interno a
porre concreti obblighi di informativa a carico del professionista in
procinto di concludere un contratto col consumatore.
A
maggior ragione tale obbligo riguarda in modo più pervasivo le
Imprese pubbliche o private che operano in regime concessorio di
fornitura di beni o servizi di pubblica utilità.
All’
obbligo informativo, infatti, si aggiunge il dovere di correttezza e
di buona fede da applicarsi con riferimento alla particolare
diligenza professionale richiesta in relazione alla natura del
servizio. Tale diligenza va estesa alla prevedibilità delle
conseguenze dannose per il consumatore derivanti dalla non perfetta
comprensione delle clausole-condizioni contrattuali.
Ritorniamo,
in una nuova prospettiva, alla fondamentale elaborazione romanistica,
peraltro privilegiata dalla Corte di Giustizia.
Dolum
malum a se abesse praestare venditor debet, qui…..fallendi causa
obscure loquitur “Risponde per dolo il venditore….che per
ingannare parla oscuramente”(Cfr.
Fiorentino, D. 18.1.43.2, tratto da Dario Mantovani, Il linguaggio
giuridico, Giuffrè, 2008, pag.53)
La
questione involge una nuova visione del concetto di “bona fides”
che come osservato dal Mantovani (op. cit.) “ha
sicuramente una portata più ampia (manat
latissime) in particolare, essa ingloba anche
valutazioni etiche e socio-economiche che attengono ai vari tipi di
rapporti da essa governati e soprattutto presiede anche alla fase di
esecuzione delle obbligazioni nascenti dal contratto, e non solo la
fase di conclusione, rispetto alla quale si e’ qui limitato il
confronto con il Principio di Cooperazione
nella conversazione” e aggiungeremmo,
anche, di Cooperazione nell’esecuzione
del contratto.
Conforme
anche il riferimento alla massima di Grice, “P. Grice, Logica e
conversazione, saggi su intenzione, significato e comunicazione,
Bologna, Il Mulino,1993,
pag. 60” “La risposta del venditore – pur esatta in parte –
viola il principio di Cooperazione, precisamente viola la prima
massima di Quantità (ossia “da un contributo tanto informativo
quanto richiesto dagli intenti dello scambio verbale in corso”)
La
dimensione del comportamento di buona fede del monopolista come
osservato in dottrina, viene desunta in “positivo” dal combinato
disposto dell’art. 2597 e della norma speciale.
”una
diversa concezione ammette che, se l’elemento teleologico al quale
si ispira l’art. 2597 c.c. e’ tutelare i consumatori dai pericoli
derivanti dalla mancanza di concorrenza, esso si rinviene anche nel
monopolio di fatto. L’applicazione analogica e’ frutto di una
normale interpretazione evolutiva del citato articolo, il quale ha
presente la più complessa e moderna tipologia delle situazioni non
concorrenziali risultante dalla legislazione comunitaria e dallo
stesso progresso delle conoscenze economiche in materia. Il rifiuto,
di fornire il ben o il servizio dell’imprenditore monopolista di
fatto o in posizione dominante al singolo e’ contrario in modo
palese al precetto costituzionale art. 41,2 Cost., il quale vieta che
la libertà di contrattare sia esercitata in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed
alla dignità umana: tale rifiuto e’ appunto lesivo di questi
valori di cui il soggetto discriminato e’ titolare.
Con
l’entrata in vigore della legge antitrust le ragioni preclusive
esposte sono venute meno perche’, se si guarda in modo attento al
disposto dell’art. 3, lett. 6. ) di tale legge n. 287 del 1990 non
vi e’ necessità di ricorrere all’interpretazione analogica. Si
osserva esattamente che tra i comportamenti interdetti dalla norma
all’impresa in posizione dominante rientra il rifiuto di contrarre.
Essa, dovendo svolgere la sua attività in misura adeguata alla
domanda prevedibile incorre nel divieto di abuso di posizione
dominante allorche’ effettua prestazioni insufficienti rispetto
alla domanda presente sul mercato, o non soddisfa alle richieste
pervenute”V.
avv. Luisa Rotondo – Monopolio legale e abuso di posizione
dominante.
In
questo caso il principio di “tutela “ dell’utente finalizzato
al corretto soddisfacimento della domanda di mercato funziona in
“negativo” vale a dire nell’obbligo di “non contrarre” da
parte del monopolista quando l’utente “potenziale” non proponga
alcuna domanda.
Sotto
questo profilo, nel caso di specie, in completa assenza di contratto
scritto di fornitura, l’iscrizione di bollette a ruolo rappresenta,
oltre che un abuso del concessionario venditore, elemento di per se
presupposto di danno non patrimoniale.
Costituirebbe,
viceversa, buona prassi, ad esempio, oltre il controllo
amministrativo sull’operato del Concessionario, anche il controllo
“qualitativo” basato sugli indicatori di soddisfazione dei
Clienti e di fidelizzazione degli stessi. Tale prassi avrebbe tra
l’altro la funzione di riconvertire la spesa (investendo le risorse
disponibili sul portafoglio Clienti) e disincentivare la politica di
costose campagne pubblicitarie aggressive (dispersive di quelle
risorse) , basate su richiami emotivi e di forte scontistica, con la
finalità di acquisire nuovi Clienti-utenti, senza offrire alcun
vantaggio a quelli esistenti.
Per
questi ultimi viene in rilievo l’esigenza di loro tutela a fronte
dell’applicazione in alcuni casi “forzosa” da parte del
professionista-operatore, con martellante ricorso al telemarketing e
comunicazione “suggestiva” circa l’approssimarsi del termine di
decadenza della tariffa in vigore, di nuove tariffe o condizioni a
loro sfavorevoli.
Oppure,
viceversa, la mancata applicazione di nuove tariffe apparentemente
più vantaggiose facilmente accessibili ai nuovi Clienti delle
promozioni, ma di difficile accesso ai vecchi Clienti per le penalità
e le difficoltà di passaggio da una tariffa all’altra frapposte
dal professionista.
Si
evidenzia in queste situazioni la necessità di una lettura in chiave
di diritto europeo operante in concreto nella dinamica del contratto
con determinazione delle prestazioni, del loro contenuto,
dell’obbligo di informazione, e, in definitiva, dell’obbligo a
contrarre secondo buona fede, temi sui quali mi riservo uno specifico
approfondimento.
Avv.
Salvatore Obino
Genova
Studio:
Corso F. Magellano, 4/14
e-Mail:
avv.obino@gmail.com
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