martedì 13 agosto 2013

COMMENTO SENTENZA SU RAPPORTO DI CONSUMO





La sentenza del Giudice di Pace di Genova, dott. Claudio Cattani, travalica per portata strategica il caso concreto che regola, v. RG affari contenz. n. 6308/2011.


Anche in questo caso la situazione, paradossale, riguarda un rapporto di consumo: il consumatore, in veste di turista proprietario di un appartamento per vacanza in un’isola siciliana, viene a trovarsi coinvolto a sua insaputa (come parte utilizzatrice) in un contratto di fornitura di acqua di irrigazione pubblica che sgorga da un terreno agricolo in prossimità dell’immobile. La parte erogante è il Concessionario esclusivo del Comune siciliano.


Il consumatore, residente a Genova, viene a conoscenza dell’obbligo contrattuale a seguito di una procedura esecutoria per mancato pagamento di bolletta fornitura idrica integrata. Il Comune isolano ospitante ritiene che per motivo del soggiorno il consumatore sia obbligato “in automatico” a corrispondere l’importo della bolletta di fornitura d’acqua non potabile allo stabile in cui occasionalmente trascorre la vacanza. Il turista, però, si avvale della cisterna privata di acqua potabile rifornita da un operatore privato, quindi non si ritiene obbligato nei confronti del Comune per una fornitura (pubblica) che non ha mai richiesto e di cui non ha mai usufruito.


Si sorvola qui sui risvolti strettamente procedurali, anche se determinanti nella decisione finale del Giudice. Il consumatore si oppone all’esecuzione attivata da Equitalia ai sensi dell’art. 615 c.p.c. eccependo l’ “inesistenza” del rapporto contrattuale; i soggetti interessati Comune ed Equitalia restano contumaci.


Il Giudice accoglie la domanda del consumatore basandosi su questi principi:


-inesistenza dell’obbligazione, non essendo stato provato alcun vincolo contrattuale: senza proposta e sua accettazione non vi e’ contratto;


-necessità di prova scritta del contratto di fornitura;


-mancata dimostrazione di obbligazione sorta “de facto” nel senso di fornitura concretamente utilizzata dal consumatore;


--non si puo’ presumere la conoscenza da parte del consumatore di un obbligo contrattuale in assenza di prova.


Se non c’e’ proposta, come si diceva sopra, non c’e’ contratto. Non solo, ma è evidente anche l’assenza di una “causa concreta”: lo scopo effettivo, la funzione operativa” del presunto contratto; quali interessi esso identifica e soddisfa, atteso che il consumatore non si avvale, per il suo interesse-bisogno idrico del fornitore comunale. Pertanto anche sotto questo profilo, ammessa in pura ipotesi l’esistenza di un contratto, mancando la causa, lo stesso sarebbe affetto da nullità.


Solo una parte in posizione dominante può avere il potere di “prefigurare” un contratto in difetto di proposta, causa, accettazione, o avvalendosi di mere circostanze di fatto attinenti ad una situazione “ambientale” nella quale si muove da protagonista.


L’abuso di posizione dominante si concretizza, in questo caso, nella
rappresentazione “ virtuale” del contratto.


La “virtualizzazione” degli obblighi, o finzione giuridica, tuttavia non può essere invocata dal concessionario: deve essere esplicitamente prevista dal legislatore; Il Comune (concedente) quindi non può invocare la finzione giuridica del contratto di fornitura auto-sorgente in base alla sola presenza in loco del turista o alla proprietà della casa di vacanza, poiché non vi è un provvedimento di legge che glielo consente.


E’ del resto la legge e solo la legge che determina le fattispecie di obbligo a contrarre, come ben rilevato dalla dottrina.


Si tratta sotto altro profilo di identificare il meccanismo di acquisto del servizio: il consumatore, in questo caso, si e’ “auto-organizzato” per soddisfare le proprie esigenze idriche con cisterna privata e riempimento della stessa con ricorso ad un fornitore privato.


L’operatore della gestione idrica integrata, il Comune, non ha dato rilievo a tale (privata) soluzione: e’ purtroppo naturale che chi gode di posizione dominante e, come può accadere nel settore delle utilities, di potere contrattuale monopolistico, o oligopolistico, in assenza di cultura e/o disattenzione verso i principi della corporate social responsibility , consideri i rapporti con i consumatori più o meno alla stregua dei rapporti tra sovrano e sudditi.
Nel caso di specie il Fornitore-Comune senza alcuna preventiva comunicazione al consumatore, ha proceduto ad una formazione “virtuale” del contratto di fornitura, e ha conseguentemente proceduto, verificatosi il prevedibile “virtuale” inadempimento, a “concretizzare” la pretesa ricorrendo all’automatismo e alla formale garanzia dello strumento fiscale della bolletta e della conseguente iscrizione a ruolo della stessa.
Ottenuta la “realità” dell’iscrizione a ruolo il gioco era apparentemente fatto: con tutta probabilità il Giudice avrebbe respinto la domanda del consumatore considerando prevalente l’affidabilità del titolo fiscale. Fortunatamente in questo caso e’ andata diversamente: il Giudice ha fatto il cammino inverso ricercando la validità dell’obbligazione sostanziale, rivelatasi inesistente, ed ha provveduto di conseguenza, con soddisfazione del consumatore-resistente.
Purtroppo si tratta di comportamenti, derivanti da abuso di posizione dominante, sempre più frequenti in questa fase di crisi economica e di ricerca tardiva di ritorno alla redditività o al pareggio di bilancio di imprese pubbliche o semipubbliche con valutazione asimmetrica degli interventi correttivi.


I parametri considerati, infatti, sono di natura esclusivamente finanziaria: aumento dei ricavi con aumento delle tariffe, vendita di cespiti, taglio dei costi con licenziamento di dipendenti, etc.


I parametri di natura economica: valorizzazione degli assets, aumento produttività, diversificazione, miglioramento della qualità del servizio, fidelizzazione della Clientela, nuova politica degli acquisti, sostenibilità ambientale, vengono raramente considerati, trascurando l’elemento “esterno” basilare: il mantenimento della fiducia dei propri Clienti-utenti.


E’ palese nel caso di specie il mancato adempimento da parte del Comune, nella veste di Istituzione concedente l’esercizio della fornitura, dell’onere di informazione dei cittadini-consumatori.


E’ altrettanto palese che Equitalia, pur nella funzione di Ente di riscossione, avrebbe dovuto operare con l’osservanza dei criteri della diligenza professionale e del neminem laedere.
Sotto altro profilo il codice del consumo, d. lgs. 206/2005, artt. 21 e 25, nonché la legge sulla responsabiltà amministrativa dell’impresa, d. lgs 231/2001., quando non si faccia riferimento al più avanzato diritto europeo, v. applicazione del Principio di nullità di protezione, già intervengono nel nostro sistema di diritto interno a porre concreti obblighi di informativa a carico del professionista in procinto di concludere un contratto col consumatore.


A maggior ragione tale obbligo riguarda in modo più pervasivo le Imprese pubbliche o private che operano in regime concessorio di fornitura di beni o servizi di pubblica utilità.


All’ obbligo informativo, infatti, si aggiunge il dovere di correttezza e di buona fede da applicarsi con riferimento alla particolare diligenza professionale richiesta in relazione alla natura del servizio. Tale diligenza va estesa alla prevedibilità delle conseguenze dannose per il consumatore derivanti dalla non perfetta comprensione delle clausole-condizioni contrattuali.


Ritorniamo, in una nuova prospettiva, alla fondamentale elaborazione romanistica, peraltro privilegiata dalla Corte di Giustizia.


Dolum malum a se abesse praestare venditor debet, qui…..fallendi causa obscure loquitur “Risponde per dolo il venditore….che per ingannare parla oscuramente”(Cfr. Fiorentino, D. 18.1.43.2, tratto da Dario Mantovani, Il linguaggio giuridico, Giuffrè, 2008, pag.53)


La questione involge una nuova visione del concetto di “bona fides” che come osservato dal Mantovani (op. cit.) “ha sicuramente una portata più ampia (manat latissime) in particolare, essa ingloba anche valutazioni etiche e socio-economiche che attengono ai vari tipi di rapporti da essa governati e soprattutto presiede anche alla fase di esecuzione delle obbligazioni nascenti dal contratto, e non solo la fase di conclusione, rispetto alla quale si e’ qui limitato il confronto con il Principio di Cooperazione nella conversazione” e aggiungeremmo, anche, di Cooperazione nell’esecuzione del contratto.


Conforme anche il riferimento alla massima di Grice, “P. Grice, Logica e conversazione, saggi su intenzione, significato e comunicazione, Bologna, Il Mulino,1993, pag. 60” “La risposta del venditore – pur esatta in parte – viola il principio di Cooperazione, precisamente viola la prima massima di Quantità (ossia “da un contributo tanto informativo quanto richiesto dagli intenti dello scambio verbale in corso”)


La dimensione del comportamento di buona fede del monopolista come osservato in dottrina, viene desunta in “positivo” dal combinato disposto dell’art. 2597 e della norma speciale.
una diversa concezione ammette che, se l’elemento teleologico al quale si ispira l’art. 2597 c.c. e’ tutelare i consumatori dai pericoli derivanti dalla mancanza di concorrenza, esso si rinviene anche nel monopolio di fatto. L’applicazione analogica e’ frutto di una normale interpretazione evolutiva del citato articolo, il quale ha presente la più complessa e moderna tipologia delle situazioni non concorrenziali risultante dalla legislazione comunitaria e dallo stesso progresso delle conoscenze economiche in materia. Il rifiuto, di fornire il ben o il servizio dell’imprenditore monopolista di fatto o in posizione dominante al singolo e’ contrario in modo palese al precetto costituzionale art. 41,2 Cost., il quale vieta che la libertà di contrattare sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana: tale rifiuto e’ appunto lesivo di questi valori di cui il soggetto discriminato e’ titolare.


Con l’entrata in vigore della legge antitrust le ragioni preclusive esposte sono venute meno perche’, se si guarda in modo attento al disposto dell’art. 3, lett. 6. ) di tale legge n. 287 del 1990 non vi e’ necessità di ricorrere all’interpretazione analogica. Si osserva esattamente che tra i comportamenti interdetti dalla norma all’impresa in posizione dominante rientra il rifiuto di contrarre. Essa, dovendo svolgere la sua attività in misura adeguata alla domanda prevedibile incorre nel divieto di abuso di posizione dominante allorche’ effettua prestazioni insufficienti rispetto alla domanda presente sul mercato, o non soddisfa alle richieste pervenute”V. avv. Luisa Rotondo – Monopolio legale e abuso di posizione dominante.


In questo caso il principio di “tutela “ dell’utente finalizzato al corretto soddisfacimento della domanda di mercato funziona in “negativo” vale a dire nell’obbligo di “non contrarre” da parte del monopolista quando l’utente “potenziale” non proponga alcuna domanda.


Sotto questo profilo, nel caso di specie, in completa assenza di contratto scritto di fornitura, l’iscrizione di bollette a ruolo rappresenta, oltre che un abuso del concessionario venditore, elemento di per se presupposto di danno non patrimoniale.


Costituirebbe, viceversa, buona prassi, ad esempio, oltre il controllo amministrativo sull’operato del Concessionario, anche il controllo “qualitativo” basato sugli indicatori di soddisfazione dei Clienti e di fidelizzazione degli stessi. Tale prassi avrebbe tra l’altro la funzione di riconvertire la spesa (investendo le risorse disponibili sul portafoglio Clienti) e disincentivare la politica di costose campagne pubblicitarie aggressive (dispersive di quelle risorse) , basate su richiami emotivi e di forte scontistica, con la finalità di acquisire nuovi Clienti-utenti, senza offrire alcun vantaggio a quelli esistenti.


Per questi ultimi viene in rilievo l’esigenza di loro tutela a fronte dell’applicazione in alcuni casi “forzosa” da parte del professionista-operatore, con martellante ricorso al telemarketing e comunicazione “suggestiva” circa l’approssimarsi del termine di decadenza della tariffa in vigore, di nuove tariffe o condizioni a loro sfavorevoli.


Oppure, viceversa, la mancata applicazione di nuove tariffe apparentemente più vantaggiose facilmente accessibili ai nuovi Clienti delle promozioni, ma di difficile accesso ai vecchi Clienti per le penalità e le difficoltà di passaggio da una tariffa all’altra frapposte dal professionista.


Si evidenzia in queste situazioni la necessità di una lettura in chiave di diritto europeo operante in concreto nella dinamica del contratto con determinazione delle prestazioni, del loro contenuto, dell’obbligo di informazione, e, in definitiva, dell’obbligo a contrarre secondo buona fede, temi sui quali mi riservo uno specifico approfondimento.


                                                             Avv. Salvatore Obino


                                                                                Genova


Studio: Corso F. Magellano, 4/14


e-Mail: avv.obino@gmail.com




















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